Intervista al Cardinale Mario Grech a cura di Franco Ferrari
Eminenza, il saluto che ha rivolto al papa durante il Concistoro è caratterizzato dal forte richiamo alla visione di una Chiesa sinodale. Si direbbe un discorso programmatico per il suo cardinalato, quasi ad indicare una sua missione personale...
Grazie per la scelta di aprire questa intervista con il richiamo a quel discorso. Anche a me ha sorpreso che il Santo Padre mi abbia chiesto di rivolgere una parola di saluto al collegio cardinalizio in occasione del concistoro: l’ho ritenuto un segno forte dell’importanza che papa Francesco attribuisce al Sinodo e alla sinodalità. A quel segno di stima non potevo certo rispondere con un discorso di circostanza: come Segretario generale del Sinodo dei Vescovi sono chiamato a rispondere di una funzione che non può consistere nell’organizzazione di eventi (se eventi vogliamo ancora chiamare le Assemblee sinodali), ma nell’accompagnare un cammino di Chiesa sempre più chiaramente orientato in senso sinodale. Quel discorso contiene certo la mia visione di Chiesa, maturata nell’adesione convinta all’ecclesiologia del Vaticano II, soprattutto al «santo Popolo fedele di Dio», che il papa ha così insistentemente sottolineato già dalla sua prima Esortazione, Evangelii Gaudium. Chi legge quel discorso trova un’eco evidente del magistero del papa, del magistero conciliare, della voce della Tradizione, soprattutto quella del primo millennio, quando la sinodalità era la forma abituale di essere della Chiesa.
In un’intervista di qualche tempo fa ha dichiarato che la sinodalità sarà l’importante lascito di papa Francesco alla Chiesa. Quale nuovo modello di Chiesa dobbiamo aspettarci dalla pratica sinodale?
Nel discorso in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015, il papa ha detto che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Qualcuno ripete la frase come uno slogan, ma se ci pensiamo bene, contiene una proposta forte di comprensione del cammino della Chiesa nella storia. Yves Congar, nella sua Vrai et fausse réforme dans l’Eglise, divide il cammino della storia in due sole tappe: il primo millennio, con la sua idea di Chiesa come communio Ecclesiarum, e il secondo millennio, nel quale diventa dominante l’idea della Chiesa universale, nella quale è centrale il principio della plenitudo potestatis del vescovo di Roma, che fonda e giustifica il modello gerarchico di Chiesa. Con quella frase papa Francesco indica che sta iniziando una terza tappa, caratterizzata dalla sinodalità. In quel discorso si incontrano i lineamenti di «una Chiesa costitutivamente sinodale», che potrebbero essere riassunti nel tema del prossimo Sinodo: per diventare «una Chiesa sinodale», tutti i soggetti della Chiesa – il Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi, il Vescovo di Roma – sono chiamati tutti a vivere, come soggetti attivi, la comunione, la partecipazione, la missione». Nessuno escluso. Ciascuno secondo il suo stato e la sua funzione nel corpo ecclesiale.
Nell’incontro con i vescovi irlandesi ha sostenuto che la sinodalità richiede un “nuovo stile di leadership”, cioè una diversa modalità di guida delle Chiese. In concreto questo cosa comporterebbe per i presbiteri e per i vescovi?
Mi rifaccio alla distinzione di Congar sulla storia della Chiesa in primo e secondo millennio. Per la Chiesa del secondo millennio, il grande teologo francese parla di “gerarcologia”, termine con cui indicava la concentrazione di tutte le funzioni attive nelle mani della gerarchia. La teologia di scuola distingueva tra Ecclesia docens e discens; il diritto qualificava i fedeli come subditi, spiegando che la Chiesa è una societas inaequalium. Valeva il principio della differenza: di funzioni, di stati di vita. Il concilio ha finalmente destrutturato quella visione con il capitolo II di Lumen gentium sul Popolo di Dio: senza negare nulla della costituzione gerarchica della Chiesa (spiegata al capitolo III), ha rovesciato la logica, sottolineando prima di tutto la pari dignità di tutti nella Chiesa. Il capitolo sul Popolo di Dio ha anche recuperato la funzione attiva del Popolo di Dio con l’idea del sacerdozio comune come partecipazione alla funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. In questo quadro il sacerdozio ministeriale è ripensato come funzione di servizio al Popolo di Dio, e non più come un potere “sopra” la Ecclesia discens! La leadership nella Chiesa deve ripensarsi secondo questa logica del servizio. Papa Francesco ha parlato in Evangelii gaudium di «pastori con l’odore delle pecore», che stanno davanti, in mezzo o dietro al gregge, ma sempre e comunque al servizio del Popolo di Dio.
Sinodo/sinodalità stanno diventando slogan. Una nuova retorica ecclesiale, che nasconde le molte difficoltà, se non l’opposizione, di presbiteri e vescovi verso questo cambiamento. Dal suo osservatorio privilegiato, la Segreteria generale del Sinodo, quali ritiene siano i principali ostacoli da superare?
Mi permetta di sottolineare uno strano processo in atto. Per cinquant’anni si è parlato di Sinodo senza parlare di sinodalità (nella Chiesa cattolica molti non sapevano nemmeno dove stesse di casa), ora si tende a parlare di sinodalità senza più parlare di Sinodo. Per questa via la sinodalità diventa una specie di categoria onnicomprensiva, con cui si pretende di spiegare tutto, come in passato, ad esempio, si è fatto con termini come carisma, o comunione. Se così fosse, la esporremmo a un processo di logoramento, tanto inevitabile quanto veloce, concluso dall’oblio o dal rigetto. La sinodalità rimanda a una dimensione costitutiva della Chiesa, emersa con la riscoperta della Chiesa come Popolo di Dio: per questo bisogna tornare sempre al concilio. Dare per scontata la recezione dell’ecclesiologia conciliare porta a non comprendere che la sinodalità è il frutto maturo del Vaticano II. Riguardo alla sinodalità, vedo soprattutto due rischi. Il primo è dato dalla supponenza: presumere di sapere senza preoccuparsi di capire e di approfondire. Il secondo è dato dalla paura: di cambiare, perché si è fatto sempre così, e soprattutto di doversi mettere in gioco, perché la sinodalità implica di riconoscere l’altro, di ascoltarlo, di camminare insieme, tutte scelte che costano ed esigono maturità ecclesiale.
La prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi mette a tema comunione e partecipazione: questioni centrali nella vita della Chiesa. Una partecipazione vera può far emergere la conflittualità, che spesso a torto viene vista come una rottura della comunione. D’altra parte senza confronto non vi è una vera comunione. Perciò, come suggerisce Francesco, il conflitto “non può essere ignorato” va accettato e risolto (EG, 226-228)?
La prossima Assemblea del Sinodo mette a tema la Chiesa sinodale! Prima di parlare di comunione, partecipazione e missione, il titolo dice: «Per una Chiesa sinodale». Il Sinodo si fa per comprendere che la Chiesa è costitutivamente sinodale e come si possa pervenire – è il senso del “per” – a una forma e a uno stile sinodale di Chiesa. Potremmo dire che il Sinodo mette in cammino la Chiesa verso la sua forma sinodale. Per fare questo, la prima e più importante azione – sembra paradossale! – è quella di fermarsi, di ascoltarsi veramente. Tutti. Nessuno escluso. Perciò il primo passo del cammino sinodale consiste nella consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari. Comunione, partecipazione e missione sono gli aspetti che più permettono di verificare se, quanto e come la sinodalità diventi veramente forma e stile della Chiesa. Potrebbe anche darsi che sorgano conflitti, anche perché non c’è abitudine a uno stile sinodale, soprattutto all’ascolto gli uni degli altri. A questo tutti ci dovremo educare. Ma preferisco pensare il processo sinodale in positivo, piuttosto che pensare subito ai conflitti...
Una caratteristica centrale, potremmo dire fontale, del percorso sinodale, previsto dalla riforma di Francesco, è la consultazione del Popolo di Dio. Cosa rende così importante questo momento?
John Henry Newman diceva che, se per una cosa così importante come un dogma il papa aveva consultato i fedeli, a maggior ragione li si poteva consultare su questioni che riguardavano la vita della Chiesa. La dottrina cristiana conosce la funzione del sensus fidei del Popolo di Dio: la totalità dei battezzati è infallibile in credendo: lo dice il concilio (LG 12), lo ribadisce il papa (EG 119). Se il Popolo di Dio partecipa alla funzione profetica di Cristo, è ascoltando la sua voce che si può discernere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. Si fonda qui la dinamica di profezia-discernimento propria del processo sinodale, che domanda una disposizione di ascolto a tutti nella Chiesa e a tutti i livelli della vita della Chiesa. Il papa lo ha detto, sempre nel famoso discorso del 17 ottobre 2015: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire». È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» ( 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Gv Ap 2,7)». A suo tempo la stagione degli organismi di partecipazione si è risolta in un nulla di fatto, perché è mancata la consapevolezza che per decidere bisogna ascoltare lo Spirito, e per ascoltare lo Spirito bisogna ascoltarsi gli uni gli altri. Lo Spirito non ha smesso di parlare alla Chiesa.
Nel “Documento sul processo sinodale”, per la consultazione, si fa riferimento agli “organi di partecipazione previsti dal diritto”. Non possiamo, però, nasconderci la debolezza, per non dire l’insignificanza, di questi organi nella vita delle chiese locali. Come possiamo, quindi, ritenere che la consultazione dia gli esiti sperati?
La consultazione del Popolo di Dio riguarda tutti, non solo gli organi di partecipazione. Quando dico tutti, significa tutti, nessuno escluso. Quella precisazione significa che non sarebbe vera consultazione se non si ascoltassero almeno quegli organismi. Non è un problema che siano deboli e insignificanti. Gli organismi, le comunità, i gruppi sono deboli perché non si è mai attivato un vero ascolto, perché non li si è resi partecipi, corresponsabili della vita della Chiesa, la quale – bisogna dirlo – dipende ancora troppo da uno schema clericale. Per superare questa debolezza, la sola via è di esercitarsi con pazienza nello stile sinodale, imparare ad ascoltarsi, riconoscendo l’altro, ogni altro, come un dono.
Nella sua Lettera ai vescovi per presentare il processo sinodale ha sottolineato l’importanza di un “ascolto di tutto il Popolo di Dio, nessuno escluso”, coinvolgendo anche chi è più lontano. Come ritiene che possa essere accolto e attuato questo suo invito?
Il Documento preparatorio sottolinea la dimensione inclusiva della consultazione, richiamando il dialogo con le altre Chiese e confessioni cristiane, con le altre religioni, con ogni uomo di buona volontà. Gaudium et Spes sottolineava che anche la Chiesa ha da imparare dal mondo. La Segreteria del Sinodo non fissa procedure da eseguire, indica orizzonti, e dentro quegli orizzonti ogni Chiesa è invitata alla creatività per raggiungere “tutti, nessuno escluso”. Una «Chiesa dell’ascolto» è tale quando sia attraversata dall’ansia di ascoltare “tutti, nessuno escluso”, e proporre “luoghi” in cui l’incontro, l’ascolto, il dialogo siano sempre possibili.
Il “Documento” di indirizzo della Segreteria disegna un processo sinodale molto dettagliato e concreto. Quali riscontri state avendo dalle Conferenze episcopali?
Di grande interesse, di apertura, di partecipazione. Tenga presente che prima il Sinodo dei Vescovi era un evento che riguardava solo la Chiesa universale. Solo quando si chiudeva l’evento le conclusioni arrivavano alle Chiese particolari. Ora invece tutti sono coinvolti nel processo sinodale: tutto il Popolo di Dio nella consultazione che si fa nelle Chiese particolari; tutti i vescovi, nell’atto di discernimento chiesto alle Conferenze episcopali a livello sia nazionale che continentale. Come Segreteria del Sinodo stiamo proponendo tanti incontri on line alle Conferenze episcopali di tutto il mondo, intessendo un dialogo fruttuoso che mi auguro produca un dinamismo di reciprocità tra la Segreteria del Sinodo e le Chiese che aiuti il realizzarsi della «mutua interiorità» tra la Chiesa universale e le Chiese particolari. La Segreteria del Sinodo è un organo di servizio, e per il suo particolare compito può aiutare la crescita della Chiesa in senso sinodale.
Nel riformare il Sinodo il papa ha previsto la possibilità che la Segreteria generale possa emanare documenti applicativi dei risultati dei lavori sinodali. Quali considerazioni, secondo lei, hanno consigliato questa norma?
L’indicazione riguarda la terza fase del processo sinodale, quello dell’attuazione. Si tratta di una novità che ha bisogno di essere ulteriormente precisata. Una cosa è certa: il papa vuole evitare il rischio che il discernimento sinodale rimanga lettera morta, un puro esercizio di stile. Come attuare, o forse meglio, come recepire il Sinodo? Tutti dovranno fare la loro parte, secondo la loro specifica funzione nella Chiesa. In questo, la Segreteria ha un compito che non si limita – lo ribadisco – ad organizzare gli eventi sinodali. Il papa ha trasformato il Sinodo da evento in processo, perché la Chiesa è sinodale. La Segreteria va configurandosi sempre più come organismo a servizio di una Chiesa sinodale.
Nella Costituzione apostolica di riforma del Sinodo (Episcopalis Communio) papa Francesco ha inserito due elementi di grande novità. Il primo riguarda il valore magisteriale del documento finale dei Sinodi (art. 18), il secondo la possibilità di convocare un’assemblea “per ragioni di natura ecumenica” (art. 1). Che influenza potrebbero avere questi due articoli sul cammino di riforma della Chiesa?
Per saperlo bisognerebbe aver sperimentato le due cose e averle attentamente valutate. La congruità delle due indicazioni è evidente, per quanto si pongano su piani assai diversi. Anche a livello di Segreteria ci stiamo interrogando a fondo su tutte queste indicazioni. Ma non è un singolo elemento a produrre un cammino di riforma della Chiesa, ma il processo sinodale in quanto tale, che è garantito da una vera «conversione sinodale». Questa è la sfida che ci attende dal 10 ottobre in avanti. Confido che tutti vogliano prepararsi al meglio. Per farlo, abbiamo appena pubblicato due testi – il Documento preparatorio e il Vademecum – che possono aiutare tutti a familiarizzarsi con la forma e lo stile di una Chiesa veramente sinodale.
“Missione Oggi” n.5 del settembre/ottobre 2021