La violenza, il dolore e i bambini di suor Marcella
Quest’estate alla GMG alcuni fatti (la visita alla Sagrada Família, l’incontro con don Julián de la Morena...) hanno acceso in me il desiderio di mettere a disposizione il mio lavoro come mezzo di costruzione della Chiesa nel mondo. Così a fine novembre, poco dopo la laurea in architettura a Torino, sono partito per Haiti per aiutare suor Marcella nella sua missione. Subito ho provato un senso di grande desolazione: qui tutto è pervaso da un dolore e da una violenza che non avevo mai visto. Le strade sono piene di mendicanti, le case sono pochissime: la maggioranza vive in baracche, tende ed edifici diroccati. L’elettricità non esiste quasi, quindi quando il sole cala è pericoloso girare. In una situazione così la fede è messa duramente alla prova, e non è più possibile appiccicare frasi e nomi.
Ho cominciato a chiedermi quale speranza ci fosse per questo popolo. Nei giorni successivi ho cominciato a lavorare alla missione di suor Marcella, e lì ho visto una speranza, ho ricominciato a respirare: nel quartiere più povero e più pericoloso di Haiti ho visto decine di ragazzi (molti dei quali ex banditi) che, avendo intravisto una speranza per sé e per il proprio popolo, lavorano sorridendo; l’allegria di 450 bambini a cui viene insegnato a leggere e scrivere, e che vengono educati al bene e al bello, la gratitudine delle mamme che finalmente possono dar loro da mangiare. Mi sono accorto che solo Cristo presente può generare questo: ora, come duemila anni fa, c’è qualcuno in questo posto che si è messo a vivere con banditi, prostitute, accattoni, delinquenti, provando tenerezza per loro, e da qui sta nascendo un cambiamento. Se non si arriva a dire che è Cristo l’unica speranza che sostiene tutto, si finisce con l’impazzire. Così sono stato costretto a tornare all’origine, senza fronzoli o discorsi, e ad alzarmi al mattino chiedendomi Chi fa le cose e Chi le salva. Così la fede è divenuta concreta, un vero atto di fiducia nei confronti di Colui che non ha mai abbandonato me durante la mia vita, né l’umanità nel corso della storia. Ho smesso di avere paura di quello che vedo, posso affrontare la giornata con speranza e certezza. Ho cominciato a guardare la realtà in modo diverso, con serenità: non come un’analisi dei fattori (politici, storici, socio-economici, psicologici) che, presi singolarmente, sono inspiegabili, ma come un qualcosa che c’è e quindi è dato, è voluto ed è positivo, e che quindi non può tradire.
Stefano, Port-au-Prince (Haiti) – Da “Tracce”
In pochi secondi il dolore di dire sì a Cristo
Marco e Loredana hanno dovuto affrontare un dolore grandissimo: la morte di Gabriele, terzo figlio di due anni. Era una serata tranquilla. Loredana, con i figli, preparava le caldarroste. In un attimo Gabriele, che aveva iniziato a mangiare le castagne, muore soffocato. Ecco la lettera che Loredana ha scritto come risposta alla domanda: cosa significa per te e Marco «conversione e contemporaneità di Cristo in questo momento?».
Il 2 di novembre nostro figlio Gabriele è diventato un angelo. Dio non ha permesso che ci disperassimo, ci ama così tanto che ci ha condotto verso questo destino, dolcemente, ci ha preparati, adesso è chiaro, dal momento del concepimento di Gabri. La notizia del suo arrivo è stata una sorpresa per tutti. È come se Dio avesse voluto svegliarci dal torpore nel quale eravamo finiti. Tutto si è avverato proprio come ci aspettavamo, ma non è stato solo questo, è stato molto di più: la nostra vita è cambiata, siamo cresciuti come coppia, come genitori. Ci è stata data la possibilità di rinnovare la nostra esperienza di vita. Prima del 2 novembre avrei dovuto affrontare un piccolo intervento ad una gamba per una frattura che mi ero procurata durante la gravidanza di Gabriele. Il disagio che provavo però era molto forte e non mi spiegavo il perché. Sentivo l’esigenza di pregare e ripetere «Aiutami, ma sia fatta la Tua volontà e non la mia». La Madonna mi stava facendo pregare preparandomi ad affrontare non l’intervento, ma questa separazione. La nostra non è stata una scelta. Non avremmo potuto scegliere diversamente. Il nostro “sì” era implicito sin dall’inizio. Potevamo soltanto aderire a Cristo. Quella sera ero sconvolta, mi rivolgevo a Dio invocandolo, supplicandolo. Marco davanti a quella situazione si è piegato, inginocchiato in preghiera subito. L’ho guardato e ho capito quello che dovevo fare e mi sono inginocchiata con lui. Ho compreso in quel momento che non dovevamo temere perché eravamo in Lui. Non ci ha lasciati soli mai. Dopo pochissimo sono accorsi tutti. La prima Rossella, la mia amica e dietro di lei tutti gli altri che hanno iniziato a pregare con noi. Cristo era lì con il Suo Amore. La conversione per me è aprire le braccia, spalancarle verso Dio, entrare in quella croce trasformandola in un abbraccio, «felice di fare parte della Sua storia». La conversione è riuscire a dire ti affido questa sofferenza per la conversione vera, nostra e dei nostri fratelli e riconoscere che anche la capacità di dire ciò è data e che non saremmo niente senza di Lui. La contemporaneità di Cristo è viverlo nell’Eucaristia sempre di più, viverlo attraverso Marco, Samuele, Davide, la nostra compagnia, stare lì dove tutto mi rimanda a Lui. Vivere la presenza di Cristo nella memoria di mio figlio Gabri che è stato un dono da subito e che continua ad esserlo qui adesso perché ci permette di fare ancora una volta esperienza chiara dell’infinito amore di Dio.
Loredana
È possibile inviare lettere o testimonianze alla email:
Le pubblicazioni saranno quindicinali.