“Iride, veloce come il vento”
Arcobaleno… Era un pomeriggio di primavera. Aveva piovuto. Mia madre chiamò, a voce alta, tutta la famiglia. Ci invitò ad andare alla finestra per qualcosa di veramente speciale che era apparso nel cielo: l’arcobaleno. Tutti accorremmo incuriositi. La reazione fu la medesima: grande stupore e meraviglia e una sola parola, quasi pronunciata in coro, per esprimere la gioia: è bellissimo! Solo la mia voce rimase muta.
Non dissi niente. Rimasi per un po’ alla finestra, fingendo di avere visto. Ma io quell’arcobaleno, che partiva dal cielo ed arrivava a posarsi nel nostro giardino, non lo vedevo. Guardavo il cielo intensamente… ma non vedevo nulla. Vedevo il cielo ma non l’arcobaleno. Io, in realtà, non ho mai visto un arcobaleno! Subito dopo mi allontanai dalla finestra, fingendo di non essere interessata, e corsi in bagno a piangere. Senza che la mia famiglia si accorgesse di nulla. Da sola.
Avevo dodici anni e in quel preciso momento stavo prendendo coscienza di non vedere come gli altri. C’era qualcosa che non andava. Mia mamma mi diceva sempre che, ai piedi dell’arcobaleno, gli gnomi nascondono un tesoro. Quel giorno, quindi, nel mio giardino, era stato posto un tesoro. Allora non capii. Ero troppo piccola. A dodici anni non pensai a tutto questo, a dodici anni c’erano solo le lacrime… Ma quell’arcobaleno era un messaggio di Dio, che mi consegnava un tesoro: la mia cecità. Sì! Perché, col tempo, ho capito che la mia cecità è stata un dono… col tempo ho capito che se l’amore è cieco allora io sono l’amore! E se oggi sono l’anima che sono lo devo prima di tutto a quello che tutti ritengono un problema ma che per me è il più grande dono che potessi ricevere.
Se non potevo vedere l’arcobaleno, allora quell’arcobaleno dovevo essere io. Dovevo vestirmi di colori. Essere colori… Come la greca Iride, messaggera degli dei che, volando dal cielo alla terra, portava le notizie agli uomini. Il trasparente velo di cui era vestita, incontrando i raggi del sole, diventava iridescente e dava vita all’arcobaleno.
A dodici anni non conoscevo neanche Iride. Attorno a quell’arcobaleno, lì è cominciato il mio volo. Il nero che, di lì a poco, sarebbe stato totale fuori potevo contrastarlo con la luce che partiva da dentro. Pian piano ho capito di dover diventare io un piccolo arcobaleno… Velocemente attorno a Iride… ho avvertito di avere la sua stessa responsabilità, portare messaggi agli uomini… Quando hai avuto la possibilità di realizzare il tuo sogno, i tuoi desideri, facendo della passione il tuo lavoro, e hai il dono di parlare a tanta gente, è importante e naturale che tu voglia dare, in tutto ciò che fai, un tuo messaggio. Un messaggio cha abbia il potere di rompere le barriere della TV, del palcoscenico e dello stadio, per arrivare dritto al cuore delle persone. Ma divarsamente da Iride, il messaggio che io voglio dare è sempre lo stesso: l’Amore. Vorrei che la gente tornasse a credere che, attraverso l’amore, c’è la soluzione ad ogni cosa. Gesù parlava di amore e la gente, ascoltando, capiva che l’antidoto al male era l’amore. E ancora oggi non c’è un rimedio più forte. Amare se stessi, amare la vita, amare gli altri.
Forse ho scritto troppe volte la parola amore? Ma no! D’amore non si fa mai indigestione! L’amore è il più grande sostegno per ognuno di noi… Amate i vostri sogni, i vostri desideri… solo vivendo fino alla fine la passione per qualcosa, questo qualcosa potrà concretizzarsi. L’ho sperimentato io stessa. Il mio sogno mi ha salvata. Il mio sogno era cantare.
Annalisa Minetti (Ed. S. Paolo)
La sorpresa più bella, tra quelle quattro mura
Ho 33 anni e da meno di cinque mi sento rinato; cioè da quando, in compagnia delle sole quattro mura che mi hanno ospitato in un carcere siciliano, ho avuto la più grande sorpresa della mia vita: l’incontro con Cristo.
Incontrarlo per me è stato come sentirmi bruciare dentro da una fiamma che mi scaldava l’anima e che fuori riusciva a dar luce al volto di ogni persona che, sin da subito, riconobbi e sentii come un fratello. Dopo questa mia personale esperienza chiunque io abbia conosciuto mi ha testimoniato anche se in modo diverso la Sua Presenza. Incontravo da molti giorni in carcere i volontari della Caritas, ma finalmente ora parlavamo la stessa lingua, ci animavano gli stessi sentimenti, gli stessi che mi predicava per tutti i miei cinque anni di reclusione, la mia guida spirituale, don Salvatore, perseverando con me senza mai sentire il peso dei chilometri che ogni mese dalla Calabria percorreva per incontrarmi.
È con questi sentimenti nel cuore che conobbi il professor Burgio o meglio “u professuri”. Una persona speciale che, venendomi incontro, ascoltandomi, mi ha colpito al cuore. In carcere, ormai libero nel cuore e nella mente, grazie al mio parroco, al professore Burgio, ai volontari, alla presenza affettuosa dell’arcivescovo di Siracusa, monsignor Salvatore Pappalardo, e sempre con la mia famiglia accanto, ho aperto gli occhi e finalmente ho potuto vedere Chi è sempre stato e sempre sarà con me. Ed anche se le sofferenze e diverse prove nella vita non sono mancate, posso giurarvi che la gioia di avere Cristo nel cuore non mi è mai venuta meno nell’affidamento alla volontà di Dio. Parlo di quella gioia che disconoscevo, ma che da sempre abitava i cuori della mia famiglia ed in modo particolare quello incorreggibile di mia moglie che pur mai ha affrettato i miei tempi, nell’attesa del mio incontro con Dio.
Roberto, Vibo Valentia – da Tracce
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