XIX Domenica
Tempo Ordinario - Anno A
(...) La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò ve rso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». (…)
Lago di Galilea, il paesaggio che Gesù più amava, l’ambiente che a Pietro era più familiare. Mi piace questo pescatore che mi assomiglia, uomo d’acque e di roccia. Mi piace per questo suo umanissimo pendolo tra fede grande, bambina e un po’ folle, che lo spinge fuori dalla barca, e quella fede corta e contratta che lo fa affondare; per la capacità di sognare che fa germogliare miracoli, e l’improvvisa paura che lo fa affondare. Uomo di fede piccola, perché hai dubitato? Pietro fa passi di miracolo sul lago, dentro la bufera, e nel pieno del prodigio la sua fede va in crisi: “Signore affondo!”. Il miracolo non produce fede. Non servono miracoli per andare verso Gesù. Vedendo che il vento era forte, s’impaurì: il vento non lo puoi vedere, ma Pietro adesso ha occhi non più per Gesù, ma solo per le onde, la bufera, il caos. “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni” (Giovanni XXIII). Pietro invece chiede consiglio alla paura e affonda. Nel pieno del miracolo dubita, mentre è preda del dubbio crede: “Signore, salvami!”. Dio salva, questa è la fede. Che se ne fa Pietro del catechismo mentre affonda? Radice inalienabile della fede è un grido che ci rimane in cuore: Signore ho bisogno, salvami. Niente lo cancella, neppure nell’uomo più perduto o distratto, neppure nel non credente. Viene il momento dell’affondamento, della paura, viene per tutti. Il primo gradino della fede è un grido. O anche il gemito di un dolore senza parole: ho bisogno! Abbiamo tutti provato un principio di discesa nelle acque della disperazione, un fallimento nei rapporti umani, una malattia grave, e forse proprio lì abbiamo trovato la forza di gridare a Lui, senza nessun merito, il coraggio di fidarci e di affidarci. E Lui ha allungato ancora un po’ quella mano che non ha mai cessato di tenderci. E ci siamo aggrappati, ce l’abbiamo fatta. Quante volte siamo stati tirati fuori! Perché i miracoli ci sono, sono perfino troppi, solo che non bastano mai alla fede piccola. Ed è per questo, perché non convertono nessuno che “Dio compie i miracoli a malincuore” (Giovanni della Croce). Perché io sono prete e credente? Perché ho affrontato le mie tempeste e non sono scappato; ho guardato negli occhi le onde e il vento e la paura e ho gridato. E le mie ferite, le ferite che mi sono anche inferto da solo, Dio le ha attraversate con una carezza. E mi ha detto: ci sono qua io, non temere. Proprio là il Signore ci raggiunge, al centro della nostra fede piccola. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci ma stende la mano per afferrarci. E allora la bufera diventa carezza, il grido nella tempesta diventa abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.
(Letture: Prima Lettera Re 19,9a.11-13a; Salmo 84; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33)
Avvenire - Il Vangelo della domenica (a cura di Ermes Ronchi)