XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano [...]: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone [...]?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
A Nazaret va in scena il conflitto perenne tra quotidiano e profezia. All'inizio parole e prodigi di Gesù stupiscono, immettono un «di più» dentro la normalità della vita. Poi l'ordinario instaura di nuovo la sua dittatura.
Che un profeta sia un uomo straordinario, carismatico, ce lo aspettiamo. Ma che la profezia sia nel quotidiano, in uno che non ha cultura e titoli, le mani segnate dalla fatica, nel profeta della porta accanto, questo ci pare impossibile. A Nazaret pensano: «Il figlio di Dio non può venire in questo modo, con mani da carpentiere, con i problemi di tutti, non c'è nulla di sublime, nulla di divino. Se sceglie questi mezzi poveri non è Dio». Ma lo Spirito scende proprio nel quotidiano, fa delle case un tempio, entra dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia. Noi cerchiamo Dio, il pastore di costellazioni, nell'infinito dei cieli, quando invece è inginocchiato a terra con le mani nel catino per lavarci i piedi.
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? Scandalizza l'umanità, la prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna dentro l'ordinarietà della vita. Gesù cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora, sa riconoscere il legno al profumo e al tatto.
Una intuizione luminosa di Heidewick di Anversa: «Ho capito che questa è la compiuta fierezza dell'amore: non si può amare la divinità di Cristo senza amare prima la sua umanità». Riscoprire ogni frammento, ogni fremito di umanità nel Vangelo, cercare tutte le molecole di umanità di Gesù: il suo rapporto con i bambini, con gli amici, con le donne, con il sole, con il vento, con gli uccelli, con i fiori, con il pane e con il vino. Il suo modo di avere paura, il suo modo di avere coraggio e come piangeva e come gridava, e la sua carne bambina e poi la sua carne piagata, e poi il suo amore per il profumo di nardo a Betania, la casa degli amici.
Amare l'umanità di Gesù, perché il Vangelo rivela proprio questo: che il divino è rivelato dall'umano, che Dio ha il volto di un uomo.
Gesù al rifiuto dei compaesani mostra il suo candore, il suo bellissimo cuore fanciullo: «Non vi poté operare nessun prodigio» scrive Marco, ma subito si corregge: «Solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito. Il nostro Dio non nutre rancori o stanchezze, ma la gioia impenitente di inviare sempre e solo segnali di vita attorno a sé.
(Letture: Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6)