IV domenica di Pasqua - Anno A
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. (...) ».
Il buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Io sono un chiamato, con il mio nome unico pronunciato da lui come nessun altro sa fare, con il mio nome al sicuro nella sua bocca, tutta la mia persona al sicuro con lui. E le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aperti, di liberi pascoli
E cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti e non alle spalle. Non pastore che rimprovera e ammonisce per farsi seguire, ma uno che precede e seduce con il suo andare, che affascina con il suo esempio: pastore di futuro.
E troveranno pascolo: Gesù promette a chi va con lui un di più di vita, un centuplo di fratelli e case e campi. Promette di far fiorire la vita.
Io sono la porta. Cristo è soglia spalancata che immette nella terra dell'amore leale, più forte della morte (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di tutte le prigioni (potrà entrare e uscire).
Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Per me, una delle frasi più solari del Vangelo; è la frase della mia fede, quella che mi rigenera ogni volta che l'ascolto: sono venuto perché abbiate la vita piena, abbondante, gioiosa. Non solo la vita necessaria, non solo quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva; vita che rompe gli argini e tracima e feconda, uno scialo di vita, che profuma di amore, di libertà e di coraggio.
Così è Dio: manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila persone, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari.
In una sola piccola parola è sintetizzato ciò che oppone Gesù a tutti gli altri, ciò che rende incompatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è «vita». Parola che pulsa sotto tutte le parole sacre, cuore del Vangelo, parola indimenticabile. Cristo non è venuto a pretendere ma ad offrire, non chiede niente, dona tutto. Vocazione di Gesù, e di ogni uomo, è di essere nella vita datore di vita.
«Gesù non è venuto a portare una teoria religiosa, un sistema di pensiero. Ci ha comunicato vita ed ha creato in noi l'anelito verso più grande vita» (G. Vannucci).
Allora urge cambiare il riferimento di fondo della nostra fede: non è il peccato dell'uomo il movente della storia di Dio con noi, ma l'offerta di più vita. L'asse attorno al quale ruota, danza il Vangelo è la pienezza di vita, da parte di un Dio che un verso bellissimo di Centore canta così: «Tu sei per me ciò ch'è la primavera per i fiori!».
(Letture: Atti 2, 14. 36-41; Salmo 22; 1 Pietro 2, 20-25; Giovanni 10, 1-10)
Avvenire - Il Vangelo: a cura di Ermes Ronchi
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