VI Domenica - Tempo ordinario
Anno B
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Un lebbroso cammina diritto verso di lui. Gesù non si scansa, non mostra paura. Si ferma addosso al dolore e ascolta.
Il lebbroso «porterà vesti strappate, sarà velato fino al labbro superiore, starà solo e fuori» (Levitico 13,46). Dalla bocca velata, dal volto nascosto del rifiutato esce un'espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace: «Se vuoi». E intuisco Gesù toccato da questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di tutti i figli dolenti della terra il lebbroso lo interroga: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici o figli guariti?
Davanti al contagioso, all'impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, Gesù prova «compassione». Il Vangelo usa un termine di una carica infinita, che indica un crampo nel ventre, un morso nelle viscere, una ribellione fisica: no, non voglio; basta dolore!
Gesù prova compassione, allunga la mano e tocca. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l'intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce. Dio non guarisce con un decreto, ma con una carezza.
La risposta di Gesù al «se vuoi» del lebbroso, è diretta e semplice, una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: «Lo voglio: guarisci!». Me lo ripeto, con emozione, fiducia, forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti. È la bella notizia, un Dio che fa grazia, che risana la vita, senza mettere clausole. Che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.
E lo mandò via, con tono severo, ordinandogli di non dire niente. Perché Gesù non compie miracoli per qualche altro fine, per fare adepti o per avere successo, neppure per convertire qualcuno. Lui guarisce il lebbroso perché torni integro, perché sia restituito alla sua piena umanità e alla gioia degli abbracci. È la stessa cosa che accade per ogni gesto d'amore: amare «per», farlo per un qualsiasi scopo non è vero amore.
Quanti uomini e donne, pieni di Vangelo, hanno fatto come Gesù e sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: rifugiati, senza fissa dimora, tossici, prostitute. Li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.
Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.
E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo porta con sé una grande felicità. Perché ti mette dalla parte giusta della vita.
(Letture: Levitico 13,1-2.45-46; Salmo 31; 1 Corinzi 10,31-11,1; Marco 1,40-45)
Avvenire - Il Vangelo della domenica (a cura di Ermes Ronchi)
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