III Domenica di Avvento - Anno A
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (...)
Giovanni, la roccia che sfidava il vento del deserto, che era «anche più di un profeta», «il più grande» di tutti entra in crisi: sei tu o no quello che il mondo attende? Il profeta dubita e Gesù continua a stimarlo. E questo mi conforta: anche se io dubito la fiducia di Dio in me resta intatta. Perché è umano, di fronte a tanto male, dubitare; di fronte al fatto che con Gesù cambia tutto: non è più l'uomo che vive per Dio, è Dio che vive per l'uomo, che viene a prendersi cura dei piccoli, a guarire la vita malata, fragile, stanca: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i sordi odono, ai poveri è annunciato il Vangelo, tutti hanno una seconda opportunità.
Gesù elenca sei opere non per annunciare un fiorire di miracoli all'angolo di ogni strada, ma che Dio entra nelle ferite del mondo, per trasformarlo. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia con i miracoli. Ha promesso qualcosa di più forte ancora: il miracolo del seme, il lavoro oscuro ma inarrestabile del seme che fiorirà.
Beato chi non si scandalizza di me. È lo scandalo della misericordia, Gesù è un Dio che non misura i meriti, ma guarisce il cuore; che invece di bruciare i peccatori, come annunciava il Battista, siede a tavola con loro. È lo scandalo della piccolezza. Le sei opere d'amore che Gesù elenca non hanno cambiato il mondo, per un lebbroso guarito milioni d'altri si sono ammalati; nessun deserto si è coperto di gigli; anzi, il deserto con i suoi veleni si espande e corrode le terre più belle del nostro paese.
Ma quelle sei opere sono l'utopia di un tutt'altro modo di essere uomini, ed è sempre l'utopia che fa la storia. Sono le mani di Dio impigliate nel folto della vita. Sono il centro della morale cristiana, che consiste proprio nel fare anche noi ciò che Dio fa, nell'agire io come agisce Dio.
Gesù è una goccia di fuoco caduta dentro di noi e non si spegne. E noi viviamo di lui e lui dilata da dentro le nostre capacità di amore perché diventiamo santuari che irradiano amore: chi crede in me compirà opere ancora più grandi (Gv 14,12)
«Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (Evangelii gaudium, n. 274).
Gli uomini vogliono seguire il Dio della vita. E se noi siamo capaci di rendere, con Lui, la vita più umana, più bella, più felice, più grande a qualcuno che non ce la fa da solo, allora capiranno chi è il Signore che noi cerchiamo di amare e di incarnare: è davvero il Dio amante della vita.
Letture: Isaia 35,1-6.8.10; Salmo 145; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)
Avvenire - Il Vangelo: a cura di Ermes Ronchi