Calerno 29 ottobre 2016
Letture: Fil 1,18b-26; Lc 14,1.7-11
Forse anche don Lao, in questi ultimi mesi nei quali la malattia minava progressivamente il suo fisico, si è chiesto, con san Paolo: che cosa è meglio per me? Lasciare questa vita ed essere con il Signore, oppure continuare a vivere nel corpo, e dunque in questa condizione terrena, per essere più utile ai suoi cristiani, e in particolare a questa comunità di Calerno, alla quale ha voluto tanto bene, e che ora lo piange?
Per Paolo, il dubbio si apre alla fiducia di rimanere ancora in mezzo ai suoi cristiani; per don Lao, invece, è arrivata l’ultima chiamata, l’invito all’ultimo viaggio. Don Lao – così mi ha detto chi lo ha visto nel letto dell’ospedale – ha sentito avvicinarsi nella sua carne sofferente l’ora della morte, ha potuto prepararvisi. Forse ha pensato, in questi ultimi giorni (magari non proprio con queste precise parole): per me ormai il vivere è Cristo, e morire un guadagno!
E, in ogni caso, credo che avrebbe sottoscritto senza nessuna esitazione ciò che l’apostolo scriveva poco prima ai Filippesi: «Ho piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva, sia che io muoia».
Si dovrebbe dire così di ogni credente, naturalmente: ma in don Lao (e non solo in questi ultimi mesi e anni segnati dalla tribolazione della malattia) è come se la sua generosa e tenace dedizione al Signore e alla Chiesa si fossero proprio «fatti carne»: diventati voce, gesto, parola eloquente; si fossero tradotti nei movimenti con i quali sollecitava la comunità a partecipare al canto o alla preghiera, o nel suo fermarsi a salutare tutti, nei suoi abbracci, nel suo esprimere anche fisicamente attenzione, partecipazione, gratitudine, compassione e comunque condivisione di gioie e sofferenze, di vicende e momenti belli o penosi... e poi progressivamente anche nella sua carne segnata da una sofferenza sopportata con tenacia, senza mai perdersi d’animo, con quella pazienza a tutta prova» di cui parla altrove Paolo, con quella carità che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13, 7), con quel sapersi affidato a Dio, di cui ha dato prova fino all’ultimo.
Del suo corpo, don Lao amava talora fare anche strumento di scherzo. Gli piaceva, a volte, travestirsi; ed era così abile nel farlo, che una volta persino il «suo» Vescovo, l’amatissimo mons. Gilberto, non lo riconobbe!
Vorrei leggere, in questa sua abilità, un altro modo di realizzare ciò che dice Paolo ai Filippesi: «purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene». Come dire: si può e si deve fare davvero tutto, e di tutto, purché Cristo sia annunciato, conosciuto, amato. Si può accettare di passare per matti, o per stupidi: o, più semplicemente, vivere il ministero esercitando compiti assai diversi, come potevano essere i quasi venticinque anni vissuti a fianco del vescovo Gilberto, e i quasi ventisette in parrocchia, a Pieve Modolena prima, e poi qui a Calerno; per non parlare, poi, di un ministero vissuto in tanti altri modi, nella vicinanza ai malati, nell’attenzione alle scuole materne, nel ministero a favore delle suore, nella premura per i poveri, nella guida spirituale...
Nella vita e nella morte, Cristo così è glorificato nel corpo, nell’esistenza radicalmente donata a lui e spesa per conoscere e far conoscere lui; per «guadagnare Cristo», come dirà più avanti Paolo; per «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3, 8.10-11).
La conformità alla morte di Cristo, don Lao è stato chiamato a viverla anzitutto da cristiano, da battezzato; e poi in tutto il suo ministero di prete, e da ultimo anche nella malattia e nella sofferenza fisica. La conformità a Cristo significa andare con lui alla ricerca dell’ultimo posto, quell’ultimo posto, di cui parla Gesù stesso nel Vangelo. L’ultimo posto è il posto di chi non bada più a se stesso, perché non ha nulla da difendere, nulla da trattenere, nulla da portar via, perché ha dato tutto.
Per quel che è dato a noi di vedere – e ben sapendo che solo Dio, il Padre ricco di misericordia, «vede nel segreto» e con verità – don Lao è stato cristiano e prete andando in questa direzione. Nella speranza che nasce dalla fede, ci sembra ora di sentire Gesù che gli dice: «Amico, vieni più avanti, sali più in alto, prendi parte alla gioia del tuo Signore».
Mons. Daniele Gianotti
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