Omelia di Martedì 1 Gennaio 2019 – Maria Santissima Madre di Dio
Il 1° gennaio è un giorno di auguri, e infatti la prima lettura della Messa ci ha fatto sentire gli auguri di Dio: Il Signore ti benedica e ti custodisca, faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. Non so se ci siano parole più belle per iniziare un nuovo anno: ringraziamo la Parola di Dio.
In questo augurio da parte di Dio, mi colpisce l’espressione il Signore farà risplendere su te il suo volto.
Mi colpisce perché lascia intendere che Dio più che fare gli auguri è un augurio. Fateci caso, un nuovo anno di solito è atteso e festeggiato con botti e spumante, anche se poi la piega che prende, spesso non è quella desiderata. Non è un caso infatti che attenuiamo l’espressione così: speriamo che il nuovo anno sia migliore. Io credo che per non restare ogni volta delusi, dovremmo cambiare la prospettiva, e anziché fare gli auguri, dovremmo essere auguri, diventare cioè un augurio gli uni per gli altri.
La lettura biblica usando le parole volto che risplende fa riferimento ad un essere e non a un semplice augurare.
Gandhi, in tema di cambiare vita, diceva: sii tu stesso il cambiamento che richiedi. Il 16 settembre 1978, quando divenni prete, il vescovo Baroni nell’omelia disse: Fernando non fare il prete, sii prete! Ecco allora il punto: non limitarsi a fare gli auguri, ma essere auguri.
Come si fa?
Primo, convincendoci del primato dell’essere sul fare, sull’avere e sull’apparire. Secondo, impegnandoci a dare agli altri qualcosa di noi, affinché davvero il nuovo anno sia più umano.
Se Gesù disse: C’è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35), è perché per Lui la felicità non è un’utopia, non è una chimera sempre rincorsa e mai raggiunta, ma una possibilità concreta alla portata di tutti.
Per Lui la felicità non consiste in quel che si riceve, ma in quel che si è capaci di donare.
Ricevere no, ma donare lo puoi sempre.
Se la felicità dipende da quel che si riceve, si rischia di rimanere delusi perché gli altri spesso non rispondono ai nostri bisogni come vorremmo.
Ma se la felicità consiste in quel che tu doni, questo è possibile, anzi, più dai e più sei felice.
Dunque, essere un augurio per gli altri, ecco quanto ci suggerisce la Parola di Dio in questo inizio d’anno.
Che significa fare del dono di sé e della generosità il proprio distintivo. Chi è capace di offrire ciò che è e ciò che ha, vive bene ed è nel gradimento di Dio.
E visto che oggi si celebra la Giornata Mondiale della pace, segnalo che quando Gesù la sera di Pasqua ai suoi amici disse Pace a voi, il suo non era un augurio, ma un dono.
E la cosa vuol dire che io elargisco pace solo quando la mia vita è intrisa di pace, altrimenti la parola pace è solo un suono e avviene quel che dice la Bibbia: Ognuno parla di pace al prossimo, ma nell’intimo gli ordisce un tranello (Ger. 9,7). Dovremmo noi occidentali recuperare il senso biblico del saluto augurale, che non era mai solo un’espressione verbale, ma era sempre accompagnato da un dolce, una bevanda, un frutto, per contribuire alla felicità e alla gioia di chi riceveva il saluto.
Bene, anche Gesù quando augura la pace, la regala, la sua promessa quindi non rimane un augurio, ma è un regalo effettivo.
Anche Maria Santissima, di cui oggi - 1° gennaio - è la festa - ci aiuti a essere auguri e non semplicemente a farli.