Omelia di Domenica 26 Aprile 2020 - III Domenica di Pasqua, Anno A
Siamo nel pomeriggio del giorno di Pasqua, Gesù è appena risorto. Ci sono 2 suoi discepoli, in cammino verso casa. Sono delusi perché Gesù non è risorto, la notizia della risurrezione a loro non è ancora giunta. E cosa accade? Che Gesù stesso nelle vesti di un viandante forestiero si affianca a loro e con loro fa una lunga conversazione, che il Vangelo ci ha appena fatto sentire.
1) Ho pensato di lasciarmi ispirare da 2 particolari del racconto. Il 1° > Quei 2 si fermarono, tristi. Il 2° > Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele! Gesù dunque coglie quei 2 in un momento di tristezza e di non speranza. Sappiamo però che poi ribalterà il loro stato d’animo. Pensate, nel giorno più gioioso della storia, quei 2 avevano l’umore a terra. Ora, lo sappiamo anche noi: tristezza e delusione, pur se comprensibili, non vanno d’accordo con l’atteggiamento cristiano. Pensate alle parole di tono opposto del re Davide, ce le ha riferite la 1^ lettura: si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua. Vi racconto un episodio.
La suora di un asilo parrocchiale stava tornando a casa da un corso di esercizi spirituali. Era in treno ed era felice perché finalmente aveva avuto la possibilità di passare alcune giornate di riposo, preghiera e riflessione, interrompendo così il ritmo intenso della sua impegnativa scuola materna. Evidentemente le si leggeva in volto che era contenta se a un certo punto la signora che era seduta di fronte a lei nello scompartimento, le rivolse queste parole: Sorella lei è così contenta che non sembra neanche una suora. Strano complimento! La suora non sapeva se rallegrarsi per l’apprezzamento personale o dispiacersi per la frecciatina alla categoria. Arrivata a casa, riferì alle altre suore l’episodio, commentandolo così: quanto m’è accaduto è stata la meditazione che mi era mancata nei miei esercizi spirituali, la più semplice, la più chiara, la più vera e cioè: la gioia di essere al mondo e la gioia di essere cristiana. E se la donna del treno ha colto sul mio volto questa contentezza era perché la gioia è difficile da tenere nascosta: ti esce dagli occhi, dalle parole, dai gesti.
> Credetemi, è necessario riflettere su queste cose, perché a me è accaduto di vedere non credenti che hanno affrontato la sofferenza e la morte meglio di tanti credenti. Non vorrei che noi preti, catechisti, educatori, bravi a citare la Bibbia là dove dice non abbiate paura, quando però ci toccano certe prove, siamo come gli altri, testimoni di panico e non di speranza. Urge quindi che tutti, fedeli e pastori, riflettano su queste cose perché è su questo terreno che si gioca la nostra testimonianza e credibilità.
> Ancora. Se i nostri 2 amici del Vangelo erano 2 discepoli di Gesù, pure noi lo siamo. E allora chiediamoci: che discepoli di Gesù siamo? Dico così perché sono più di quel che pensiamo i cristiani bravi ma tristi, corretti ma malinconici, diligenti ma infelici, devoti ma cupi. Anche i farisei e gli scribi del tempo di Gesù osservavano a puntino tutte le norme, ogni giorno, e però senza un cuore che ardeva in loro, per dirla col Vangelo di questa domenica. E’ davvero triste quell’esistenza dove tutto è in vista di un premio o di un castigo, dove tutto viene fatto in base ad un proibito o ad un concesso. Calza qui a pennello la frase di un ateo, sentita con le mie orecchie: Ho la netta sensazione che i cristiani non credano in un Dio felice, e allora perché mai dovrei smettere di essere ateo?
> A questo punto credo che la cosa da fare sia imitare i nostri 2 amici del Vangelo: accettare che Gesù si faccia nostro compagno di strada. Loro, così facendo, si trasformarono, la loro tristezza svanì. Faccio notare che la gioia di cui stiamo parlando non è l’allegria del momento, non è la gioia esteriore, rumorosa e che presto si dissolve. Non è la gioia proveniente dall’indossare scarpe firmate o dall’esserci imbattuti in un colpo di fortuna o dalla gratificazione degli istinti o da una vita comoda o consistente in un sorriso di facciata come quello delle conduttrici televisive. Al contrario, Gesù dona a noi una gioia di contenuto, di maturità, di solidità interiore, di esperienza e di sapienza. In breve, la gioia vera viene dall’intimo. Concludo con una frase di padre Raniero Cantalamessa: Credo che si ora di cominciare a proclamare con più coraggio il lieto messaggio che Dio è felicità.