Omelia di Domenica 4 ottobre 2020 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Due parole riassumono il Vangelo di questa domenica: portare frutto. Sono parole che ci vengono suggerite dal finale del Vangelo di questa domenica: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Nella simbologia della parabola la vigna è il mondo e coloro che la lavorano, noi, siamo chiamati a farla fruttificare al meglio. Per il Vangelo il mondo appartiene a chi lo rende migliore, a chi lo fa fiorire al meglio.
Dio gioisce sempre quando nella sua vigna vede gente che sa far maturare grappoli di bene. Insomma, saremo giudicati sulla fecondità o sulla sterilità. Il guaio da evitare è condurre una vita inutile. Se ciò a cui mira la vite è l’uva e ciò a cui mira la spiga è il frumento, da cui il pane, così è di noi: siamo al mondo per generare, generare alla fede, all’amore, al senso del dovere, ecc. Tutti in questo senso siamo padri e madri: nessuno è uomo fino a che non è padre e nessuna è donna fino a che non è madre. Dunque, non basta non fare peccati, occorre portare frutto. Nella parabola è molto chiaro che il mondo non è nostro, ma ci è affidato. Siamo degli amministratori, non dei proprietari e a Dio un giorno renderemo conto. Dicevo l’altra sera ad incontro parrocchiale: se Dio passasse dalla nostra vita a ritirare il raccolto, riusciremmo a consegnargli frutti di lacrime asciugate, poveri aiutati, persone conquistate da Cristo, donne e uomini in cui si è riaccesa la speranza? Se così fosse, sarebbe davvero il caso di rallegrarsi. Portare frutto è la nostra vocazione. Questa affermazione sottintende una cosa importante: senza il Vangelo il mondo è più povero; ogni zona del mondo fino a che non è raggiunta da Cristo manca di qualcosa. Preghiamo allora così questa mattina: Signore, che al mondo non manchi il Vangelo.
> E vengo così a una domanda che mi preme: se è così importante portare frutto quand’è che, al contrario, non portiamo frutto, siamo cioè sterili, non fecondi?
1) Siamo infruttuosi quando la nostra vita è solo parole e non fatti. Ben fatto è sempre meglio di ben detto. Racconta il Vangelo che Gesù un giorno fece un gesto misterioso, simbolico. Imbattendosi in un fico che era solo foglie e niente frutti, disse: Non nasca più nessun frutto da questo fico! Cos’erano queste tante foglie e nessun frutto annesso? Era il tanto fumo e niente arrosto; i tanti raduni, congressi, conferenze, sedute lunghissime, fiumi di parole, documenti, programmazioni sulla carta splendide,…a cui non seguono fatti, scelte, decisioni. Un bene, un valore non è tale fino a che non si fa concreto. Alle persone brave Gesù dice: Fa’ passare la tua bravura dalle intenzioni ai fatti. Questa mattina torniamo alle nostre case col proposito di mettere mano al binomio foglie-frutti, cioè i nostri propositi e la loro attuazione.
2) Un 2° modo di essere infruttuosi lo vediamo in coloro che S. Paolo nella Bibbia chiama fannulloni affaccendati: sono le persone agitate, trafelate, sempre di corsa e che trovi dappertutto ma in realtà poco concludenti. In apparenza sono un tutto fare, in realtà non sono produttive.
3) Fascia di persone infruttuose: i lamentosi, i brontoloni, i critici di tutto. Il lamento per il lamento, non finalizzato a smuovere le cose, è sterilità e non fruttuosità. Quante volte, dopo critiche e lamenti, tutto rimane come prima. Lamentarsi, in tanti è fin diventato uno stile; c’è chi vive lamentandosi e purtroppo non è detto che se ne accorga.
> Chi sono allora, e così concludo, le persone fruttuose? Risposta: le persone concrete.
Signore, questa mattina torniamo alle nostre case col proposito di non ridurre il nostro vivere a sole dissertazioni e lunghe analisi. Aiutaci ad accorciare il tragitto tra parola e azione, tra proposito e sua attuazione, tra preghiera e vita.