Omelia di Domenica 11 ottobre 2020 - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Anche questa domenica ci consegna una parabola di Gesù. Ascoltandola, balza agli occhi la tristezza di Dio, simboleggiato dal re di cui si parla. Pensate, in quella città si sposava il figlio del re, l'erede al trono, ma nessuno intendeva andare alla festa, nessuno sembrava interessato. Quel re dunque, nel constatare che la sua sala sarebbe rimasta vuota di commensali, provò una fitta al cuore. Ma ripercorriamo il racconto.
1) Il re, ovvero Dio, pur ricevendo tanti no al suo invito, non si dà per vinto e s’adopera con tutto se stesso perché la sala della sua festa possa riempirsi. L’invito Andate a cercare persone per le vie, gli incroci, lungo le siepi mirava a 2 cose: a evitare che la sala di nozze rimanesse vuota ma anche a far sì che la sua fosse una festa aperta e non selettiva, aperta a chiunque desiderasse essere presente. M’è venuto da dire: E’ davvero straordinario il nostro Dio: vedendosi rifiutato, non abbassa la guardia, non se ne risente, gioca al rilancio e non smette dire agli inservienti: ‘Andate a chiamare ancora gente’.
2) Altro particolare: il testo evangelico nel descrivere gli inviti alla festa dice: i servi chiamarono tutti, cattivi o buoni, non dice buoni e cattivi ma cattivi e buoni. E’ un particolare che sottolinea come Dio non chiami perché si è buoni ma perché si divenga buoni. Dio non ci ama perché siamo bravi, ci ama così come siamo. Dio non cerca persone perfette, ma persone disposte a camminare con Lui. Egli ci prende così come siamo, anche con tutti quei scivoloni che non ci fanno onore.
3° particolare - Trattandosi di un invito a nozze, il re aveva bisogno non di inservienti o di personale, ma di invitati con cui fare festa. Non aveva bisogno di servitù, di dipendenti, ma di gente che facesse festa con Lui. Non aveva bisogno di gente che lavorasse per lui ma che stesse con lui. Insomma, Dio non ci vuole come esecutori, ma come amici.
4) Qual è dunque il messaggio che ci consegna questa domenica? Questo: se essere cristiani è come partecipare a una festa di nozze, ne deriva che nella nostra vita la dimensione della festa deve prevalere sulla dimensione della malinconia. Sono contento che il Vangelo di questa domenica ponga alla nostra attenzione il tema della festa, perché soprattutto per noi adulti non è un tema facile. Se esaminiamo gli argomenti delle nostre conversazioni quotidiane, più che di festa, è di malattie, problemi e preoccupazioni che parliamo. Addirittura, c’è chi trova gli inviti a una festa come una nota stonata, viste le tante amarezze da cui è preso. Ora, stando così le cose, io dico che il Vangelo di questa domenica cade a pennello perché ci provoca a chiederci: nella mia vita ciò che mi dà gioia è più forte di ciò che mi preoccupa? Vedete, nella vita di tutti noi, il rapporto tra “essere persone festose e essere persone preoccupate” va vissuto come si muovono le acque del mare. Oggi è scirocco e le onde vanno di qua; domani è tramontana e le onde sbattono di là; i fondali però rimangono inalterati. Così è la vita di un cristiano: il fondale di gioia che l’accompagna lo fa resistere all’urto di qualsiasi onda amara. Torniamo allora a casa questa mattina con alcune domande, forse scomode: mi piace la mia vita? Al di là di quel che combino, bello o meno bello, nel fondo di me c’è pace? Badate che il problema della felicità coincide con il problema dell’esistenza. Tra le parole che Gesù pronunciò la sera prima di morire ci fu quest’augurio: che la vostra gioia sia piena. Ho un suggerimento: in questi gg. ritagliamoci uno spazio di riflessione e in questo spazio andiamo alla ricerca delle cose che ci danno gioia. Ci accorgeremo che le cose gioiose ci sono, si tratta di metterle a fuoco meglio e di farne tesoro di più.
Signore, facci capire che sta nell’incontro con te
il segreto di una vita che vuole scorrere contenta.