Omelia di Venerdì 25 dicembre 2020 - Natale del Signore
Che cosa ci ha portato qui questa mattina? Perché siamo venuti? Conoscendo tanti di voi mi sento di dire che non c’entra l’abitudine, c’entra invece un desiderio, il desiderio di cose vere, profonde o, ancor meglio, quella nostalgia di Dio che è in tutti, credenti e non. Ne sono certo, l'abitudine non c’entra col nostro essere qui questa mattina. In questo giorno santo siamo tutti come i pastori e i magi d'Oriente, desiderosi non di frivolezze ma di quel Qualcuno, capace solo Lui di appagare il cuore umano. Ma entriamo nel vivo della riflessione: com’è che possiamo vivere il Natale? La mia risposta è: viviamolo come una sosta, una pausa, un fermarsi, tra l’altro le restrizioni del periodo possono esserci di aiuto.
Ammettiamolo: anche se siamo in tempo di sosta forzata, la velocità e la fretta ci rimangono dentro, perché sono divenute un atteggiamento mentale. Siamo ansimanti, siamo sempre a fare cose travolti da agende e scadenze, incapaci di modificare il ritmo della nostra marcia. Lo dico a me prima che a voi, la velocità può farci dimenticare che abbiamo un’anima. Passiamo attraverso le cose senza realmente abitarle, parliamo con gli altri senza davvero ascoltarli, accumuliamo dai social informazioni che mai arriveremo ad approfondire e finiamo, senza rendercene conto, per ritrovarci scontenti. Conosciamo il movimento, ma non la quiete. Diventiamo specialisti della parola, ma ignoriamo il linguaggio del silenzio, dimenticando quel che diceva l’antico saggio: impari ascoltando, non parlando. Riempiamo il nostro cuore con una massa di immagini veloci, ma mai con la pratica della contemplazione. Tutto così scorre, fuori e dentro di noi, in un effimero galoppo. Gesù bambino, dacci una regolata, insegnaci il valore dell’ascolto. Facci preferire ciò che è vero e di valore a ciò che appassisce presto. E nel mentre facci pure capire che questo stile sgangherato di vivere non è inevitabile, anzi il Natale ogni anno viene per provocarci a un vivere più vero, più essenziale e più a te gradito. Aiutaci a defilarci dal chiasso per scegliere una vita un po’ più silenziosa. Se accettiamo l’invito a fare del Natale una sosta, possiamo vivere questa sosta facendoci aiutare da un antico testo natalizio, che io modifico e sintetizzo così: Dimmi fratello, cos’è il Natale? E Lui: il Natale sei tu. Voglio raccontarvi quanto mi è accaduto. In questi giorni. sono passato per alcune case della parrocchia a fare gli auguri di Natale a qualche malato o persona sola. E tra l’altro questo giro non son riuscito a finirlo. Bè, sono entrato in casa di una donna, era sola, classe 1930. Sono stato accolto meravigliosamente. Mentre le facevo i complimenti per alcuni vasi di bellissimi ciclamini, lei ha reagito così: Io ai miei ciclamini parlo. Ho detto tra me e me: queste non sono parole a vanvera, sono un dono di Natale che sto ricevendo. Nel tornare a casa ho pensato: se il Natale portasse tutti a parlarsi con la stessa profondità di questa donna, saremmo davvero un Natale gli uni per gli altri. L’intuizione profonda di questa donna la riassumo così: ciò che si vede non è tutto! Esattamente come a Natale: ciò che si vedeva era un bimbo, come tantissimi altri, in realtà era il Figlio di Dio. Come fai a spiegare il mare a chi, guardandolo... vede solo acqua!? Come fai innanzi a un’alba o a un tramonto limitarti a dire: è un intreccio di nubi e riflessi del sole?! Come fai, innanzi agli occhi di un bimbo, a non cogliere che in ballo c’è ben di più di 2 occhi?! Ripeto, non tutti videro nel bimbo Gesù il Figlio di Dio, qualcuno rimase nella locanda a bere non importandogli nulla di quella nascita. Se invece ci fu, come ci fu, chi si pose davanti al piccolo Gesù cogliendone la divinità, è perché gli occhi organo fisico non vedono quanto invece sanno vedere gli occhi dell’interiorità. Non tutti coloro che guardano, vedono. Mi viene anche da dire: non vedi una cosa finché non ne vedi la bellezza. Le consegne allora che il Natale ci fa quest’anno portano due nomi: ‘sosta’ e ‘occhi’, da qui la mia preghiera conclusiva.
Gesù, tu che sei nato non nel frastuono ma nel silenzio, innamoraci della sosta, della pausa, della riflessione, dell’ascolto. E donaci anche gli occhi dei pastori di Betlemme, che seppero andare oltre l’apparenza di un bel bimbo com’eri e ti contemplarono quale veramente eri, il Figlio di Dio.