Omelia di Domenica 27 giugno 2021 - XIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
Vorrei intitolare così quest’ultima domenica di giugno: il trionfo della vita. Perché? Perché il Vangelo ci ha riferito che a 2 donne, una morta e una ammalata, una adulta e una bambina, Gesù diede, alla 1^ la vita e alla 2^ la guarigione. Dunque, è davanti a noi questa mattina un Gesù amante della vita, un Gesù sorgente di vita, un Gesù al servizio della vita, specie la vita malata e scartata. Pure nella 1^ lettura abbiamo letto che Dio è Colui che ha creato tutte le cose perché vivano. Bè, io credo che un modo tra i più necessari di servire la vita, specie la vita sofferente, sia la vicinanza.
Vi dico una mia sensazione: viviamo in un tempo in cui ci trascuriamo troppo. Tanti han bisogno di una parola buona, perché le croci sono molte e dunque ci vuole qualcuno che ti prenda per mano, ti rialzi, ti rincuori, ti rilanci sulle strade della vita e ti dica: Dai, coraggio, guarda avanti, io sono qui con te. Ha detto il vescovo G. Bregantini: Dove c’è il dolore ci sia sempre l’amore, che è come dire: dove c’è chi piange ci sia chi consola. Se siamo discepoli di Gesù non possiamo non essere presenti in quelle situazioni in cui l’uomo è alle prese con la sua fragilità, quelle situazioni in cui l’uomo non ce la fa, non ci arriva, rimane indietro, annaspa, non è all’altezza di quanto sta vivendo. Il nostro è un mondo troppo competitivo: è competitivo il lavoro, è competitiva la scuola, è competitiva la politica, sono competitive perfino le religioni. E dove c’è competizione c’è sempre chi rimane indietro, chi non ce la fa, chi rimane ultimo. La competizione fa emergere la fragilità.
Immaginiamo un carretto siciliano, stracolmo di arance, e tirato da un asino che arranca su per una salita. A ogni strattone, alcune arance ruzzolano per terra, e rotolando, vanno a finire ai bordi della strada senza che nessuno le raccolga. I ragazzini si divertono a prenderle a calci, finché non si sfracellano sul marciapiede. Ecco come è fatto il mondo: di gente che riesce a stare sul carretto della vita e gente invece che non ce la fa e ruzzola a terra. Ma chi non corre il rischio di ruzzolare a terra? Nessuno. Ciascuno guardi attentamente se stesso, e cosa nota? Che siamo tutti appesi a un filo. Basta un piccolo inceppo nel nostro organismo perché la nostra esistenza d’improvviso s’interrompa. Basta una piccola svista mentre siamo per strada in auto, perché la nostra esistenza s’ attesti. Insomma, basta poco perché inizi un grande male. Non si scappa: anche se siamo immersi in tanta tecnologia, la FRAGILITA’ rimane uno dei grandi nomi del nostro tempo; è la FRAGILITA’ la nostra grande compagna di viaggio. Se dunque il Vangelo di questa domenica ci mette davanti persone che non ce l’hanno fatta, anche se poi grazie a Gesù ce l’hanno fatta, tocca a noi ora essere i testimoni di Gesù, attivandoci nella consolazione e nella vicinanza. Voglio concludere citandovi un brano di S. Atanasio su S. Antonio.
Ci fu anche un solo sofferente che andando da Antonio non ne tornò nella gioia? Chi andando da lui nell'afflizione non tornò nella consolazione? Chi andò da lui piangendo i propri morti e non tornò senza avere deposto il proprio lutto? Chi si recò da lui nell'ira senza essere ritornato disposto all'amicizia? Quale monaco, privo di fiducia in sé, giunto da lui, non divenne subito più forte? Chi, avvicinandosi a lui tormentato dalle preoccupazioni, non ritornò con la serenità nell'anima?