Omelia di Domenica 8 agosto 2021 - XIX Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
Leggendo e rileggendo la Parola di Dio di questa domenica, mi ha toccato la figura del profeta Elia, di cui ci ha riferito la 1^ lettura. Mi ha colpito perché se è vero che Elia fu uno dei più grandi uomini della Bibbia (non a caso fu presente alla trasfigurazione di Gesù sul monte, come non a caso è a lui che nel Vangelo, Gesù viene paragonato), ebbene, questa figura così straordinaria ebbe, come tutti, i suoi avvilimenti e le sue crisi. Di una sua grossa crisi in particolare ci ha riferito la lettura.
Parole pese, risentiamole: Desideroso di morire, Elia disse: Ora basta, Signore! Prendi la mia vita. Sono parole che equivalgono a: meglio morire che vivere così e proprio per questo ci fanno sentire Elia molto vicino. Tante volte sentiamo dire: Non ce la faccio più... E’ troppo faticoso vivere... Non serve a niente essere persone buone o impegnate, se poi a spuntarla son sempre i malvagi... E’ da una vita che ho scommesso su Dio, ma tu hai visto qualcosa!?.. Sulla bilancia della vita, a una gioia fanno da contrappeso dieci dispiaceri. Mi vien da suggerire di dedicare questa Messa a tutti gli Elia della storia, a tutti coloro cioè che si sentono falliti. Ammettiamolo: siamo tutti, almeno un pò, dei falliti: tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all’alba abbiamo visto svanire. Ma ecco la bella notizia: ci ha riferito la lettura che durante il suo grosso avvilimento di Elia, un angelo interviene, non per offrirgli una ricetta miracolistica, ma un pò d’ acqua e un pò di pane. Poco o niente, noi diremmo. Risentiamo il testo: ed ecco che un angelo lo toccò e gli disse: ‘Àlzati, mangia!’. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve. Guardate che il più delle volte, Dio non agisce con dei miracoli, ma donandoci 2 cose: un angelo, cioè una presenza amica, e un pò di pane e acqua, simbolo dell’essenziale che ci serve. Dio non capovolse la vita di Elia, non gli tolse il deserto né la fatica ma gli fece più semplicemente ritrovare il gusto e la forza delle cose di tutti i giorni, quelle che già faceva. Tocco qui un punto importante: Dio non interviene come un anestetico che annulla fatiche e dolori, Dio è amore nelle mie esperienze d’amore, Dio è coraggio nei miei gesti di coraggio, Dio è resistenza nelle mie fatiche, Dio è speranza nelle mie scelte di speranza, Dio è pulsione di vita nelle mie pulsioni. Ecco allora il pensiero che vorrei lasciarvi questa mattina: impariamo a vedere la nostra quotidianità, comunque essa sia, non come altro da Dio, ma come il cantiere dove Dio costruisce la nostra santità. Durante le nostre giornate, semmai afose o grigie o stantie, andiamo oltre il sentire immediato, per cogliere quel filo invisibile con cui Dio ci fa vedere la primavera dentro i nostri inverni e le fessure di luce dentro le nostri notti. Dovremmo fare come dice il racconto biblico della creazione: dopo 6 giorni lavorativi, Dio si fermò per cogliere e contemplare il bello di ciò che aveva creato. Se là dove la vita ci colloca, anche noi sapremo fermarci, senza più il desiderio di fuggire, il pane della fede, l’acqua della speranza e una presenza amica basteranno a rimotivarci. Nella vita, chi non colleziona insuccessi e sbagli? Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, si sbaglia per amore, si sbaglia per gelosia. Si sbaglia perché non si è perfetti. Ma nello sbaglio, Dio ti fa dono di un angelo, cioè di una presenza amica, grazie alla quale puoi imparare a non ripetere certi sbagli, ad ammettere le tue colpe, a chiedere scusa e a crescere nell’ umiltà. Non so voi, ma io nella vita sto imparando che una persona la riconosci quando sbaglia: se chiede scusa ha capito tutto, se cerca scuse è ancora lontana dal capire la vita.
Signore, ci ha fatto bene riflettere sul profeta Elia, come con lui,
affiancati a noi ogni volta che ci vedi abbattuti.