Omelia di Domenica 5 settembre 2021 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
Portarono a Gesù un sordomuto, così ci ha riferito il Vangelo. Proviamo a metterci nei panni di quest’uomo. Un sordomuto è un piccolo dramma, perché? Perché è un uomo né capace di dire parole né capace di ascoltare parole. Ad esempio, è nell’impossibilità di ascoltare una delle cose più belle della vita: la musica e le canzoni. Un sordomuto, innanzi alla bellezza di una persona o di un panorama, non riesce a dire la sua ammirazione. Meno male che nel nostro caso, l’uomo in questione non s’era arreso alla vita, se è vero che era inserito in un cerchio di amici e se è vero che pensò bene di tentare la carta “Gesù”. Vedete, quando uno è seriamente malato o comunque non sta bene, è già un inizio di guarigione poter beneficiare dell’amicizia e dell’attenzione di qualcuno.
> Il testo prosegue: pregarono Gesù di imporgli la mano. E lui che fa? Va oltre la richiesta, perché volle dare a quest’ uomo un’attenzione speciale. Dice il testo: lo prese in disparte, lontano dalla folla. Questo è molto bello, Gesù si apparta con lui quasi a dirgli: Io e te qui soli, al riparo dai curiosi. In questo po’ di tempo che ti dò, niente è più importante di te. Gesù dunque e quel sordomuto si trovarono occhi a occhi, volto a volto, attenti l’uno all’ altro. Gesù verso di lui compie gesti molto corporei: utilizza le dita, la saliva, il sospiro. D’altronde, l’amore è così: è fatto di gesti. L’amore è anche corporeità, è anche un tocco, una carezza.
> E vengo così alla parola-chiave dell’episodio. Gli disse: Effatà, cioè apriti! Che è come dire: apriti come si aprono gli occhi quando ci svegliamo al mattino, apriti come si apre la porta all'ospite, apriti come si apre la finestra al sole, apriti come si aprono le braccia per abbracciare, apriti come ci si apre a Dio. Quant’è importante aprirsi a Dio: è in questa apertura al divino che entra in noi un motivo per vivere, un ideale per cui lottare, un forza che sostiene, una guarigione risanante le nostre ferite. Tante volte io ho constatato che qualcuno ha cominciato a star meglio quando ha deciso di aprirsi agli altri e a Dio.
> Il racconto evangelico prosegue e si sofferma sulla dinamica del miracolo: subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Notate, Gesù prima guarisce gli orecchi, poi la lingua. E cioè, prima dà la capacità di ascoltare e poi la capacità di parlare. Come a dire: prima viene l’ascolto, poi la parola. Il primo servizio da rendere è l'ascolto. Perché? Ma perché se non sai ascoltare, non sai nemmeno parlare come si deve. Dato che c’è chi parla e non dice niente e chi parla e dice sciocchezze, è ascoltando parole sane, sante, buone che impariamo a dire cose sane, sante e buone. Fateci caso, noi impariamo quando ascoltiamo, non quando parliamo. Se parli è perché dici cose che già sai, mentre se ascolti puoi udire parole e argomenti nuovi. Forse sta qui uno dei difetti di tanti preti, educatori e genitori: siamo più bravi a parlare che ad ascoltare, più bravi a fare prediche che a tenere l’orecchio attento, più bravi a raccomandare che a fare prima di tutto noi quanto raccomandiamo. Ci vien meglio essere maestri che essere apprendisti. E pensare che solo la settimana scorsa, il Vangelo del giorno riportava queste parole di Gesù: Voi non fatevi chiamare 'maestro', perché voi siete tutti fratelli e uno solo è il vostro Maestro. E non chiamate 'padre' nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è in cielo. E non fatevi chiamare nemmeno 'capo', perché uno solo è il vostro Capo, il Cristo.
In conclusione, sta sera, prima di addormentarci, proviamo a pregare così: Signore, come al sordomuto, dì anche a ciascuno di noi ‘Apriti!’ Aprici all’ascolto di te e dei tuoi testimoni. E’ in questo modo che nascono dal nostro cuore parole e gesti che sanno di Cielo.