Omelia di Domenica 24 ottobre 2021 - XXX Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
E’ pieno di vita il Vangelo di questa S. Messa: ci offre un racconto piacevole, essenziale, vivo, pieno di movimento, di grida, di emozioni, fin di contestazioni.
1) E’ di scena un mendicante cieco che alla notizia del passaggio di Gesù lo chiama gridando: gli grida di avere pietà dei suoi occhi spenti. La gente cerca di zittirlo, ma lui non si scoraggia. E’ uno che non molla e alla faccia di chi lo vuole zitto zitto, lui grida ancor più forte. Deve alzare la voce per poter prevalere sul rumore che c’era tutt’intorno. D’altronde è così: quando è da una vita che sei disperato e d’improvviso sei innanzi a un’occasione che forse è l’occasione della tua vita, non badi alle buone maniere ma ti fai spazio con forza e ti fai sentire, a costo di essere maleducato o di indisporre qualcuno. E infatti se avete fatto caso, questo cieco è tutto esagerato: non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza in piedi: balza in piedi.
2) Fortunatamente c’è qualcuno nella folla che, notando l’interesse di Gesù per lui, gli va a dire: Coraggio, alzati, Gesù ti chiama. Come son belle queste 3 parole! Sono un programma di vita.
- Coraggio sta per: dai, osa, non aver paura, fatti coraggio. Se c’è un bel verbo, è incoraggiare. Un anziano ha detto: nella mia vita avrei dovuto osare di più. Quando venne a Reggio papa Giovanni paolo II°, alcune sue parole furono: Sapete perché son venuto tra voi? Per dirvi ‘Coraggio’! E per sentirmi dire ‘Coraggio’!
- 2^ parolina, alzati! Cioè: “Rimettiti in piedi, prova a ripartire.” Provare a ricominciare comporta subito un po’ di paura, ma poi ci si accorge che s’è fatto bene. Le grandi colpe dell’uomo non sono le sue cadute, ma il potersi rialzare ogni volta, ma non farlo. Un autore ha detto: Vivere è l’infinita pazienza di ricominciare.
- 3^ parolina, ti chiama, che nel caso del nostro cieco voleva dire: Gesù s’è accorto di te, ha voluto sapere il tuo nome, ti sta chiamando, dai, vai! Che bella testimonianza cristiana daremmo se riuscissimo a far capire a chiunque è messo male che Gesù ha un riguardo speciale per lui.
3) Torno al molti lo rimproveravano perché tacesse. Quant’è triste dire a un cieco: Taci, lascia perdere, Gesù non ha tempo per te. Non vogliamo straccioni in corteo. Rassegnati a rimanere cieco e basta. Tanto, non c’è un gran da vedere in questo mondo. E poi non gridare. Che brutto parlare è questo. Purtroppo persone così ci son sempre: è gente che vuole mettere a tacere le sofferenze che incontra perché ha paura di guardarle, le trova una spina al proprio modo di vivere comodo ed egoista. I mendicanti sono il lato doloroso del mondo, disturbano: guardare i poveri c’infastidisce perché sono nelle condizioni in cui noi non vorremmo mai arrivare a trovarci noi. E invece il Vangelo ci ricorda che nessun grido di dolore è fuori luogo.
4) E arrivo alla cosa per me più bella del nostro Vangelo. E’ una cosa che ho sottolineato anche domenica scorsa. La domanda di Gesù al cieco è stata questa: cosa vuoi che io faccia per te? Noi crediamo in un Dio che ci chiede come stiamo e ci domanda in che cosa può esserci utile. Facciamo una cosa allora: adesso ognuno nel silenzio della sua coscienza senta rivolta a sé la domanda di Gesù (Che cosa vuoi che io faccia per te?) e provi a rispondere. Qualche risposta provo a immaginarla.
* Gesù io ho bisogno di un matrimonio più felice e più unito.
* Gesù c’è troppa sofferenza in casa mia, fai qualcosa!
* Gesù mi sento solo, sembra che il mondo scorra bene anche senza di me, vivo come se fossi in un cantuccio, mi manca qualcuno che mi voglia davvero bene, che mi capisca e che stia volentieri con me. Fin ai miei figli sembra che io importi poco. Ti prego, fa qualcosa!
* Gesù ho bisogno di fidarmi di più di te, passo giorni in cui ti sento vicino e altri in cui non ti sento affatto. Batti un colpo. Dammi una fede più solida, una fiducia in te più certa. Aiutami a capire che stare con te vale tutto l’oro del mondo.
Gesù come al cieco di Gerico dà anche noi la vista, quella vista che arriva a vedere e a cogliere due cose: le sofferenze che ci circondano e l’appello di Dio racchiuso in esse.