Omelia di Domenica 13 febbraio 2022 - VI Domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio. Così esordisce Gesù nel discorso che abbiamo appena ascoltato dal Vangelo. Chi è attento al dibattito che c’è nella Chiesa, sa che ci sono persone che sostengono che si farebbe un utilizzo eccessivo di questa frase del Signore, beati i poveri. Certo, dicono, Gesù ha detto queste parole, ma un conto è questo, altro conto è stare sempre, o quasi, su questa frase, come se Gesù avesse sempre o solo parlato di poveri. Tanti anni fa, a un vescovo innamorato dei poveri giunse questa lettera provocatoria.
Senti, caro vescovo amante dei poveri e degli ultimi della terra, io non sono né extracomunitario, né tossicodipendente, né sfrattato, né alla fame. Ed è proprio per questo che faccio fatica a trovare udienza presso chi, come te, ha sulla bocca solo parole come poveri, emarginati, migranti, ultimi. Sembra fin che se non si appartiene a questo campionario di umanità, non si sia in possesso dei titoli giusti per entrare nel cuore di Dio. Ma è colpa mia se la casa io ce l’ho e il lavoro anche? Debbo farmi uno scrupolo se non ho mai rubato e in tribunale non ci sono mai entrato neppure come testimone? Dovrei affliggermi se grazie a Dio non ho grossi problemi di salute né soffro di solitudine? Con questo ripetere all’infinito che al centro devono starci i poveri, io mi sento un po' escluso, e la cosa non mi piace affatto perché non mi risulta che il Signore mi scarti solo perché non frequento certa gente o se la sera mi ritiro a casa in orario. E’ vero, ricco non sono, ma non mi manca il necessario per tirare avanti con una certa tranquillità. Non ho mai tradito mia moglie. I miei figli che non sono né malati di AIDS né disoccupati, mi danno tantissime soddisfazioni. Mi reputo fortunato. E sarei l’uomo più felice della terra se si dicesse un po' più spesso che anche a gente come me, sarà concesso l’ingresso in Paradiso. |
Che dire di questa lettera? Io dico ‘grazie’, perché dà la possibilità di fare chiarezza. E ci provo. Gesù ha a cuore tutti, ricchi e poveri. Ma il punto vero è un altro ed è questo: tutti siamo povere persone, anche chi crede di non esserlo. Siamo tutti bisognosi di soccorso. E quale sarebbe ad esempio una povertà di tanti ricchi? (Per ricchi intendo ricchi di soldi, ma anche di cultura, di fede, di buone maniere, di ideali) Quale sarebbe dunque una povertà di tanti di questi ricchi? L’essere bravi solo a dare e mai a ricevere. Da una prostituta, da un alcolizzato, da un avanzo di galera può mai venire qualcosa di buono? Eppure, Gesù sulla croce si sentì rivolgere parole bellissime da chi? Da un malfattore. Come pure un giorno ebbe parole di apprezzamento per una prostituta (era in casa di Simone il fariseo). Un altro giorno lodò un amministratore disonesto. E tutto questo, perché? Perché voleva segnalare che tutti han del buono da dare, anche i poco di buono. Insisto, tanta gente ‘bene’ è, sì, brava, ma, forse lo è solo nella direzione del dare e non del ricevere. Prendiamo ad esempio il tema dell’umiltà. Coloro che noi reputiamo gentaglia non vorrei che in tema d’umiltà fosse più umile di tanti di noi, perché? Ma perché è difficile essere umili quando si è bravi. Quando si è bravi è un attimo sentirsi su un gradino superiore. Quindi, a tutti noi, me compreso, che apparteniamo alla confraternita dei galantuomini, conceda il Signore di capire che c’è una duplice bravura: quella in uscita, che è la bravura del dare, della generosità, del sentirsi buoni samaritani, dell’insegnare, del consigliare, del correggere, del rimettere altri sulla retta via, ma c’è pure la bravura in entrata, cioè quella del ricevere, dell’ascoltare, del sentirsi scolaretti e mai maestri, del sapere che pure noi ‘bravini’ abbiamo - e come - bisogno di essere corretti e accompagnati.
Termino lasciando a me e a voi, su cui riflettere, una celebre frase di Madre Teresa: Nessuno è così povero da non avere nulla da dare e nessuno è così ricco da non avere nulla da ricevere.