Omelia di Domenica 27 febbraio 2022 - VIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Commentare il Vangelo di questa domenica è un’impresa, visti i numerosi spunti di riflessione che offre. Mi soffermo sulle prime parole di Gesù. Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e 2 in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Qui Gesù si riferisce alla pretesa dei suoi discepoli di mettersi a fare i giudici e i maestri degli altri. Per Gesù, nella comunità cristiana c'è una sola guida e un solo maestro: il Cristo.
E se oggi preti, vescovi, educatori, insegnanti, responsabili di comunità sono guide, lo sono per partecipazione, non per titolarità. Chi di noi ha compiti di guida non lo è in 1^ istanza, ma per partecipazione. Nella Chiesa chi è guida, lo è in modo derivato, non originario. Siamo supplenti, non titolari. Nella Chiesa, nessuno è un capo assoluto, nemmeno il Papa. Unica e vera guida è Gesù, il quale, se nel Vangelo che abbiamo ascoltato, arriva a dire può forse un cieco guidare un altro cieco? è perché chi pretende di accompagnare qualcuno prescindendo da Dio è come un cieco che guida un altro cieco. Ecco perché oggi, nella Chiesa, al termine ‘guida’ si preferisce compagno di viaggio oppure fratello o sorella maggiore. In un’altra occasione Gesù ebbe a dire: Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Vorrei approfondire questo tema dell’accompagnare nella fede le persone. Mi rivolgo a tutti, in particolare a genitori, educatori e chi ha compiti di responsabilità. Offro 3 spunti di riflessione.
Il 1° lo chiamo farsi accompagnare. Non ci si improvvisa genitori. Non ci si improvvisa educatori. Non ci si improvvisa catechisti ed educatori parrocchiali. Educatori non si nasce, si diventa. Anche chi insegna ha bisogno d’imparare. Anche chi educa ha bisogno di accompagnamento. Educare è educare umilmente. Un accompagnatore è sempre anche un accompagnato. Il vero accompagnatore è il 1° a fare l’esperienza di avere pure lui una guida spirituale.
Un 2° punto lo descrivo così: per saper educare alla fede, occorre aver fatto l’esperienza di Dio, in particolare quell’esperienza di Dio che si ha nelle difficoltà e nelle prove della vita. E’ importante essere passati per difficoltà e prove, diversamente non posso comprendere davvero le difficoltà di chi mi è affidato. Non basta sapere il catechismo o saper compiere il bene o essere fedeli alla Messa domenicale. Occorre avere quel di più che si chiama esperienza della grazia di Dio sperimentata nelle difficoltà e nell’esperienza del peccato e del perdono. Diversamente si diviene educatori saccenti, che è quanto di peggio possa esserci. Anche un educatore chiede, anche un genitore può chiedere scusa ai figli, ecc.
3° punto: accompagnare nella fede le persone richiede una certa maturità, personale e relazionale. Tanti papà e mamme sono genitori biologici, non genitori degni di questo nome. La capacità di mettere al mondo dei figli non significa che si diviene per ciò stesso bravi educatori. Come saper parlare non vuol dire saper comunicare, così la capacità generativa non è automaticamente capacità educativa. Per esempio occorre guardarsi dai ricatti affettivi, del tipo: Fallo per me! oppure: è questo il modo con cui ricambi il bene che ti voglio? Non vanno bene queste frasi. E tuttavia, se non è di tutti saper educare, esso è un traguardo possibilissimo a tanti.
Gesù, visto che oggi, ultima domenica di febbraio, ci hai parlato di discepoli e maestri, guide cieche e guide illuminate ti chiediamo di accompagnare coloro che rivestono posti di responsabilità. Preservali dalla superbia, mantienili nell’ umiltà, rendili capaci di ascolto vero e, per la carica che rivestono, non permettere che ne abusino.