Omelia di Domenica 20 marzo 2022 - III Domenica di Quaresima, Anno C
Abbiamo ascoltato una pagina di Vangelo che si compone di 2 parti: la 1^ riporta un forte invito di Gesù a convertirsi, la 2^ riporta una parabola. Dato che al tema della 1^ parte dedicherò il ritiro sp. che terrò domani, in questa Messa mi soffermerò sulla parabola del fico sterile. Si tratta di un racconto in cui chi rappresenta Dio non è il padrone esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fiducioso, che dice: dammi la possibilità di lavorare attorno a questo fico ancora 1 anno affinché arrivi a portare frutti.
Le parole centrali sono ancora 1 anno. Che è come dire: ‘questo fico ha ancora bisogno che gli lavori attorno, questo fico ha ancora bisogno di sole e pioggia, e in questo modo arriverà a portare frutto.’ Il messaggio è chiaro: Dio, come un contadino, si prende cura, come nessuno, di quella vite, di quel campo seminato, di quel piccolo orto che sono io. E mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno... e cosa avviene? Che la mia vita arriva a dare frutti buoni e abbondanti. che pro? Perché la mia vita arrivi a offrire frutti buoni e abbondanti. Ecco l’altra parola-chiave della parabola: i frutti. Come il fico per essere autentico deve dare fichi, così la vita di tutti noi, dev’essere fruttuosa. E perché a questi frutti si giunga, Gesù si offre di mettersi in società con noi. Concretamente, cosa vuol dire portare frutto? Vuol dire che siamo chiamati a lasciare il mondo un po' meglio di come lo abbiamo trovato. Anche la missione di Gesù non approdò subito a dei risultati, ma se guardiamo a quel che è diventato il cristianesimo, oggi, nel mondo, il risultato c’è ed è grande. In fondo, Il Vangelo di questa domenica raccomanda una cosa, che descrivo così: ciò che tarda verrà, ciò che è atteso arriverà. Perché? Ma perché se cerchiamo di essere alberi buoni e se il seme che seminiamo è buono, Dio ci dice: Stanne certo, quel seme germoglierà. Esattamente come avvenne col fico della parabola.
> Provo allora a tirare qualche conclusione. Pazientare e attendere sono i 2 verbi che ci consegna il Vangelo di questa domenica. Niente di ciò che è bello, buono e grande cresce senza fatica e senza il tempo necessario. Dio, l’amore, l’amicizia non possono permettersi di fare a meno di questi 2 verbi: attendere e pazientare. 10 anni fa moriva un inviato della Rai, molto amato dal pubblico, Romano Battaglia. Bè, riguardo al nostro argomento, disse un giorno: Non stancarti mai di aspettare perché il giorno più bello della tua vita può arrivare domani. Attendere... dovrebbe accendere il desiderio, non spegnerlo. L’esperienza mi dice che le cose più belle sono anche le più lente a arrivare. Dio ha pazienza, l’uomo ha fretta. Per noi credenti, aspettare deve divenire un'occupazione. E se il pessimista dice che la vita non aspetta nessuno, al contrario noi credenti, testardamente fiduciosi, mettiamo la nostra vita in stato di attesa.
Gesù, insegnaci la pazienza, donaci la capacità di attendere, convincici che vivere è anche saper aspettare. Facci capire 3 cose: che amare è anche attendere, che ogni cosa buona ha il suo momento e che la vita non è solo un GIA’ ma anche un NON ANCORA.