Omelia di Sabato 16 Aprile 2022 - Sabato Santo
Una lettura attenta del vangelo, là dove parla di Gesù risorto, fa sorgere una domanda: perché Gesù non ha sentito il bisogno di gesti appariscenti e straordinari, capaci di far sapere a quanti più possibile che era risorto da morte? E’ una domanda legittima visto che tutto l’agire di Gesù, risorto da morte, fu un agire dimesso, senza proclami di nessun genere. Di più: in tutti gli incontri che ebbe, nessuno lo riconobbe subito. M. Maddalena lo confuse con un giardiniere, gli apostoli lo presero per un pescatore importuno (Gv. 21), i due discepoli di Emmaus le presero per il più ignaro degli abitanti di Gerusalemme, di Tommaso sappiamo la gran fatica che fece per arrivare a riconoscerlo. Mi chiedo: ma perché Gesù, insieme ai suoi apostoli, non organizzò un evento pubblico, in cui poter proclamare a chiare lettere: sono qui, sono io, sono risorto. Avvicinatevi e toccatemi pure. Perché invece adottò tanta riluttanza a evidenziare, con la massima chiarezza e semmai con qualche effetto speciale, la risurrezione? Perché tanto pudore? Io non ho la risposta, mi fido però di Gesù che se apparve soltanto qualche volta e comunicò con poca loquacità, una ragione buona certamente l’aveva.
Una cosa credo può illuminarci: amava farsi commensale, cioè non si tirava indietro dalla gioia e dalla distensione di condividere qualche pasto coi suoi amici. Mangiamo insieme qualche cosa? più volte lo chiese. Anziché gridare a tutti sono risorto! si prendeva il tempo per fare cose assolutamente ordinarie, come qualcosa da gustare o un’amicizia da condividere o un cuore da risollevare. Per questo mi vien da dire: da quando Gesù è risorto, qualsiasi cosa non è più una cosa qualsiasi. Tutto può divenire occasione di felicità. Nei quaranta giorni che trascorse tra la resurrezione e l’ascensione, fece un solo miracolo (quello dei pesci) e tutto l’altro tempo lo impiegò a risollevare chi era avvilito (v. i pescatori al lago col morale a terra), a rimotivare chi era deluso (v. i due discepoli di Emmaus), ad asciugare le lacrime a chi piangeva (v. M. Maddalena), a riaccendere la fiducia in Lui (Tommaso). Insomma, s’è occupato più del quotidiano che del festivo, più di quotidianità che di eventi, più delle cose che si ripetono che di novità. Gesù amava molto la quotidianità e introduceva in essa ciò che la poteva ravvivare, rimotivare, ri-infiammare. I due amici di Emmaus, nel loro percorso con Gesù il pomeriggio di Pasqua, arrivarono a dire: non ci ardeva il cuore in petto mentre di parlava? Ecco la parola chiave: ardeva. Credo di farmi interprete di tutti voi se dico che tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci riscaldi e che riaccenda il nostro quotidiano. Gesù risorto passò i quaranta giorni del suo dopo-resurrezione a offrire una ragione per amare la vita. Amare la vita sembra la cosa più scontata del mondo, è invece la cosa più sorprendente. E’ dall’amore per la vita che nasce tutto. Amare la vita è la porta che ti fa accedere a mille altre possibilità. Se non ami la vita vai poco lontano. Nel romanzo I fratelli Karamazov sono riportate queste tre battute: Ami la vita? - Sì, amo la vita. - Allora hai fatto metà del cammino. Lo ripeto: Gesù più che con dei miracoli, passò il dopo-resurrezione a rincuorare, a rimotivare, a ridare freschezza, a regalare il gusto della vita, o meglio, la voglia di vivere. E allora gli diciamo:
Gesù, grazie perché dalla tua resurrezione in poi ti offri di aiutare tutti ad amare la vita.
Grazie soprattutto perché ci offri sempre una seconda possibilità: una seconda possibilità che porta il tuo nome.