Omelia di Domenica 1 Maggio 2022 - Tempo di Pasqua, Anno C
Il Vangelo di questa domenica è come un bel prato verde dove qua e là ci sono fiori molto belli. Non potendo per motivi di tempo, coglierli tutto, ne colgo uno. Si tratta del grido con cui l’apostolo Giovanni riconobbe nell’uomo che stava sulle rive del lago, Gesù. E’ il Signore, così grida. Si tratta di un’esclamazione spontanea, immediata, che contiene tutto. Io credo che finché non esce anche da noi il grido è il Signore! Cioè, E’ Lui! E’ Lui che è qui con me ora!, manca qualcosa alla nostra fede.
Diciamo: Giovanni, rendici capaci come te di riconoscere la presenza del Signore in ciò che ci accade. Il Vangelo di questo 1° maggio ci mette innanzi la domanda: Nella tua vita ci sono episodi nei quali ti vien da dire, come Giovanni, ‘Ma qui c’è il Signore! Qui c’è Lui!’ Se mentre fai un’esperienza di servizio o di amicizia o mentre stai ascoltando una testimonianza o mentre sei solo, che ne so, davanti alla grotta di Lourdes... e come d’ improvviso ti vien da dire: Ma qui c’è il Signore!, bè, sappilo, stai provando lo stessa cosa che provò l’apostolo Giovanni quando disse: E’ il Signore! Una cosa del genere è accaduta a me e ai ragazzi di Calerno e S. Ilario una settimana fa: eravamo a Busto Arsizio da don Alberto Ravagnani e i suoi ragazzi... e cos’è accaduto? Di provare la netta percezione che nella voce di don Alberto e dei suoi ragazzi fosse racchiusa la voce di Dio o comunque l’appello a passare da una vita un po' troppo di superficie a una vita più vera e più cristiana. Un ragazzo lo ha detto chiaramente: Dio s’è servito di questi 2 giorni per scuotermi. Questo grido di Giovanni - è il Signore! - dovrebbe farci dire: perché spesso siamo credenti fiacchi, trascinati, che per impegnarsi devono sempre stringere i denti? Risposta: perché non è ancora uscito dal nostro cuore come da quello di Giovanni, il grido è il Signore! Senza questo grido dal cuore, tutto il nostro agire procede come su ordinazione e senza fervore. Una cosa a cui sempre più credo è questa: la vera differenza tra le persone non è tra chi crede in Dio e chi non ci crede, ma tra chi cammina e chi ha smesso di camminare, tra chi cerca e chi non cerca più, tra chi s’interroga e chi non s’interroga più, tra chi s’impegna e chi non s’impegna più, tra chi spera e chi non spera più, tra chi vede solo l’apparenza e chi invece sa vedere dentro le cose e oltre le cose. Cos’è la fede se non un vedere oltre? La fede ci fa cogliere l’invisibile dietro il visibile, il Creatore dietro le creature, la risurrezione dietro la morte, la speranza dietro ogni disperazione, la voce di Dio dietro la voce di qualcuno. Domenica scorsa, nell’ascoltare l’omelia di don Alberto, m’ha colpito la frase: io non vedo Dio ma vedo continuamente persone toccate da Dio. E io aggiungo: chi vede Dio nel volto di qualcuno ha uno sguardo più da credente di chi vede Dio in un'apparizione. Vi faccio una confidenza. Da un po’ di tempo nelle mie preghiere chiedo a Dio di farmi vedere con i suoi occhi. Sento il bisogno di un dono: avere gli occhi di Dio, per poter arrivare a guardare senza pregiudizi, a guardare senza condanne, a guardare senza sospetti né malizie, a guardare senza sedurre né catturare, a guardare in modo profondo e non superficiale. In altre parole, si tratta di possedere uno sguardo più attento: più attento alla voce di Dio dentro altre voci, più attento ai suoi passi dentro i passi di qualcuno, più attento alla sua speranza dentro chi si avvicina a me con speranza, più attento alla sua saggezza dentro la saggezza di chi mi sta parlando.
Apostolo Giovanni, grazie! Grazie perché con quel tuo grido “E’ il Signore!”
ci hai ricordato che Dio, pur non visibile, è attorno a noi, vicino a noi e dentro di noi.