Omelia di Domenica 21 Maggio 2022 - VI Domenica del Tempo di Pasqua, Anno C
Questa mattina la mia omelia prende le mosse dalla 1^ lettura, la quale tratta di un tema di grande attualità. Ci ha parlato di tensioni e accese discussioni, avvenute all’interno delle primissime comunità cristiane, quelle sorte subito dopo l’Ascensione di Gesù. Provo a dire con parole mie il contenuto di questa lettura.
I primi cristiani avevano una duplice provenienza: c’era chi proveniva dalla religione ebraica e chi proveniva da altre religioni. Ora, i provenienti dalla religione ebraica volevano che si mantenessero, per tutti, tante delle prescrizioni a cui loro s’erano sempre attenuti. Invece i convertiti dalle altre religioni non ne volevano sapere. Solo che, gli stessi apostoli non battevano pari su tale questione. S. Paolo ad esempio, di chiaro orientamento progressista, era dell’idea che non si dovevano mantenere, né imporre norme che nulla avevano da spartire col Vangelo di Gesù. Pietro invece era più cauto. Meno male che si mise in mezzo Giacomo, vescovo di Gerusalemme, il quale operò un’abile mediazione, che fu accettata. Certo, era un compromesso, ma era il massimo che la situazione poteva consentire. Proviamo allora a trarre da questa vicenda alcuni insegnamenti per noi. La domanda è: si riesce ad andar d’accordo anche quando non la si pensa allo stesso modo? Per andare d’accordo è necessario avere le stesse idee, o possono bastare l’ascolto, il rispetto e il venirsi incontro?
Provo a offrire qualche criterio.
Il 1° - Se vogliamo che tra noi si vada d’accordo, la cosa principale è che ci sia tra noi la sorgente dell’unità, lo Spirito Santo. Dico così perché se è vero che dove c’è Dio fiorisce tutto ciò che è bene, fra cui l’andar d’accordo, a tenere Dio alla larga, s’arriva poco lontano. A star distanti da Dio, il cuore s’ammala. Meno Dio è fra di noi, più ha libero corso ciò che non deriva da Dio: le divisioni, i personalismi, le rivalità. Dunque, se facciamo fatica ad andar d’accordo è perché non siamo abitati da Dio. Ecco perché, per fare un esempio, una comunità che non ha momenti di preghiera comune non si meravigli se poi ha problemi di unità.
2° criterio - Non si andrà mai d’accordo se non c’è la capacità di rinunciare a qualcosa, a qualche nostra idea per far spazio a quella di altri. Non solo non bisogna imporre le proprie idee, ma a volte bisogna rinunciarvi, senza fare drammi. Insisto: se non si è capaci di rinunciare, non nasce nessuna unità. E’ tutto orgoglio e l’orgoglio divide, non unisce.
Il 3° criterio riguarda la capacità di sopportare: sopportare una critica, sopportare la pesantezza dell’altro, sopportare le sue battute infelici, ecc. Sopportare non spacca, unisce.
* Passo alle ultime 2 cose: riguardano la nostra vita parrocchiale. E’ importante saper rimanere al proprio posto senza invadere il campo altrui. Ci sono persone talmente zelanti, che - in buona fede s’intende - non dico prendono dappertutto, ma tendono ad andare oltre il proprio spazio di impegno e questo può suscitare screzi, attriti, malumori.
* Infine, si è costruttori di unità quando ci è ben chiaro che non siamo i proprietari di nessun servizio e un cambio di titolarità in un certo incarico potrebbe essere rigenerante. Dicendo questo, va pure detto che in tante comunità il problema è l’opposto: non è facile trovare chi prenda il posto di qualcuno, trovare il successore. Trovare un sostituto è sempre più difficile. Tocco qui un tema che meriterebbe una riflessione apposta: mi sto riferendo alla capacità di ciascun collaboratore parrocchiale, di suscitare nuovi collaboratori, di trovare successori, affinché quel certo servizio possa continuare.
Gesù, vieni tu stesso a guidare i nostri passi verso
quell’unità che tu tanto desideri da noi tuoi discepoli.