Omelia di Domenica 10 luglioi 2022 - XV Domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Quante omelie, quante catechesi, quanti ritiri spirituali ho dedicato al racconto del smaritano, che abbiamo appena ascoltato. Ho detto tra me e me: cosa mai potrò dire che già non abbia detto?! Ho pensato allora di concentrarmi su un verbo, ripetuto più volte: vedere. Alludo a questo passaggio: Un sacerdote scendeva per quella strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e si fermò.
Ai primi due ‘vide’ seguì il passò oltre, al terzo ‘vide’ seguì si fermò. Che vuol dire: per due volte ci fu un vedere che non voleva vedere e per una volta ci fu un vedere che si tramutò in compassione e soccorso. Il soggetto del terzo ‘vide’ era un samaritano, il quale vedendo la scena che gli si presentò davanti, si sentì ferire. Le ferite di quell’uomo mezzo morto gli ferirono il cuore. Accade anche a noi: chi è in difficoltà ci mette in difficoltà, perché? Perchè scuote la nostra pigrizia, scompagina i nostri programmi e ci porta a dire: ma proprio adesso doveva capitarmi questo? Girare lo sguardo o chiudere gli occhi è comodo ma non è cristiano. Chiediamoci allora: non sarà che anche noi pur vedendo, facciamo finta di non vedere? Non sarà che anche noi abbiamo uno sguardo troppo selettivo? Non sarà che anche noi vogliamo vedere solo ciò che vogliamo vedere? E’ vero che in tanti casi ci tranquillizziamo dicendo: Ma io non c’entro con quanto è accaduto! Ora, io dico: se il nostro non vedere è dovuto al fatto che non siamo mai nei luoghi della sofferenza e del disagio, è chiaro che non possiamo vedere.
> Qual è dunque la riflessione da fare? Questa: vivere è una questione di occhi, vivere è una questione di sguardi. Quando lo sguardo funziona e questo sguardo prende il via dal cuore, tutto prende la direzione giusta. C’è un modo di guardare distaccato, frettoloso, incurante, come se ciò che guardiamo non ci riguardasse. C’è un modo di guardare che non intende sporcarsi le mani. Come anche c’è un modo di guardare che si rifiuta di guardare. Si racconta che durante la prima guerra mondiale, un comandante dell’esercito francese andò a visitare i feriti in un ospedale militare. Uscendo, disse ai suoi collaboratori: Non portatemi più in un luogo come questo, altrimenti non riesco più a dare l'ordine di attaccare. Parlando così, questo comandante di fatto ammise che si può vivere mentendo a se stessi e nascondendo ai propri occhi la verità, ma il Vangelo oggi ci dice: ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto. Anche nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri fissare negli occhi i loro carcerieri per timore che questi potessero intenerirsi. Sono pure convinto che se chi, sgancia bombe sull’Ucraina, riuscisse a vedere negli occhi le persone che colpisce, andrebbe in crisi.
> E vengo così al vero vedere, quello del samaritano, i cui occhi furono come trafitti da quell’uomo sanguinante a terra. Diceva don Primo Mazzolari: Chi ha poca carità vede pochi poveri. Chi ha molta carità vede molti poveri. Chi non ha carità non vede nessuno. E’ proprio così: le radici dello sguardo sono nel cuore, se il cuore è malato pure lo sguardo è malato, se il cuore è largo e accogliente pure lo sguardo si fa largo e accogliente. Il Papa emerito Benedetto, nella riflessione che trovate nel notiziario settimanale, dice: Il programma del cristiano, appreso dall’insegnamento di Gesù, è un cuore che vede. In questa Messa allora, proponiamoci di mettere mano al nostro sguardo e diciamo:
Gesù donaci lo sguardo del samaritano, affinché riusciamo a
commuoverci e ad accorgerci dei tanti bisogni e disagi che ci interpellano.