Omelia di Domenica 14 agosto 2022 - XX Domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Questa mattina è davanti a noi un Vangelo dalle parole forti, provocatorie. Mi sto riferendo soprattutto a due frasi di Gesù.
> La 1^ - Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso! Nel 2016, mi trovavo a Cracovia con i giovani alla GMG. Il Papa, commentando queste parole di Gesù, più volte ripetè: Incendiate il nostro pianeta, cari giovani! E qualche secolo prima, S. Ignazio di Lojola, a dodici giovani gesuiti in partenza per una missione all’estremità del mondo diceva: Andate e incendiate il mondo! E’ esattamente questo che vuol dire il Vangelo di questa domenica: siamo chiamati a essere degli incendiari, persone capaci di accendere attorno a sé il fuoco della fede, della speranza e dell’amore.
Dato che da una candela accesa se ne possono accendere altre, Gesù ci vuole fiaccole accese, pronte ad accenderne altre. Lui accende noi, noi gli altri. Vedete, essere credenti non ci assicura una vita senza problemi, ma una vita accesa, vibrante e luminosa, sì. E’ questo quanto volle dire Gesù con le parole sono venuto a portare il fuoco. Chiediamoci allora: Abbiamo un linguaggio da incendiari? Abbiamo un cuore che arde, come quello dei due discepoli di Emmaus? Quando parliamo di Gesù, scaldiamo i cuori o annoiamo? Chi ci incontra ci vede accesi o spenti? Diceva M. Teresa di Calcutta: Non permettere mai che qualcuno venga a te e poi se ne vada senza essere migliore e più contento.
> E vengo alla 2^ frase di Gesù, davvero provocatoria: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, in una famiglia si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre. Mai ci saremmo immaginati sulla bocca di Gesù parole così, eppure se parlò così era perché allora, come oggi, in tante case, in tante amicizie, in tante comunità c’è una pace apparente, un’ armonia finta. E allora bisogna interrompere queste false tranquillità. Il termine dividere che Gesù usa indica la sua volontà di porre fine a queste false armonie. Non sto dicendo che nelle nostre case ci sia guerra, no!, ma che in tante case, più che una pace vera ci sia, come dire, una tregua, sì. Pace non è starsene in pace.
Faccio qualche esempio.
> Quando un genitore ha in casa un figlio adolescente con cui ha un rapporto difficile e per non rompere questo fragile filo che li lega, gli parla con parole molto dosate, possiamo dire che in quella casa regna una pace vera?
> Quando nelle nostre famiglie ci sono silenzi pesanti o ci si limita a dire appena appena l’indispensabile, possiamo dire che in questa casa regna la pace?
> E quando una casa diviene un luogo più di strappi che di distensione, più di musi lunghi che di occhi sorridenti, più di violenze di uomini sulle loro donne che di amore vero, possiamo dire che in queste famiglie regna la pace?
Comprendiamo allora perché Gesù dice: Pensate che io sia venuto a portare questo genere di pace sulla terra? La pace di cui Gesù è portatore non è assolutamente una pace ipocrita. E son certo che Egli mentre diceva ste cose, non aveva in mente solo le famiglie, ma ogni forma di aggregazione. Pace non è mai stata una parola pacifica. Ovunque ci sono persone insieme, c’è il rischio di armonie apparenti, di rapporti non trasparenti, di intese sospette, di trame che agiscono dietro le quinte. E’ forse un segno di pace quando ci si parla a fatica o ci si saluta a fatica? Ora, proprio perché le cose stanno così, il Vangelo di questa domenica viene a dirci: E’ a vostra disposizione la pace che vi offre Gesù, una pace dal marchio buono. E le parole “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico”, possono essere rese così: “Pensate che io sia venuto a portare la pace vera sulla terra? Sì, vi dico.”
Siamo a Messa proprio per ricevere questa pace.
Gesù sapeva che tutti noi saremmo venuti a Messa questa mattina.
Ebbene, ha pronto per noi il dono della pace e noi lo accogliamo.