Omelia di Domenica 20 novembre 2022 - XXXIV Domenica del Tempo Ordinario; Cristo Re, Anno C
Il Vangelo di questa domenica ci pone innanzi una scena per nulla gradevole: siamo sul monte Calvario dove ci sono tre croci, a cui sono appesi Gesù e due malfattori. Gesù chiuse così la sua esistenza terrena. Due sere fa meditavo questa pagina di Vangelo con un gruppetto di persone e si diceva: l’ultimo atto di Gesù prima di morire fu un gesto di perdono; l’ultima compagnia di Gesù prima di morire fu quella di due delinquenti; l’ultima parola di Gesù prima di morire fu una dichiarazione che vorremmo sentirci rivolgere tutti (Oggi stesso sarai con me in Paradiso). Dunque, Gesù morì perdonando, Gesù morì regalando il Paradiso a un malfattore, Gesù morì in compagnia di due peccatori. Pensate, dopo la morte di Gesù, il primo santo fu un delinquente… pentito. Dico una battuta: quel ladro in croce fu ladro fino all’ultimo: riuscì a rubare fin il Paradiso.
Bene, tutto questo ci interpella, specie in tema di perdono. Alla luce di quel ha fatto Gesù, mi vien da dire: perdonare è il gesto che più ci avvicina allo stile di Dio. Più passano gli anni, più mi convinco che il perdono, nelle relazioni, è una delle cose più necessarie, perché tende a ricomporre relazioni spezzate. Desidero fare chiarezza su una cosa. Qualcuno dice: Perdonare va bene, perdonare però non vuol dire dimenticare. Altri invece dicono: no no, il perdono vero è quello che sa dimenticare. Chi ha ragione? Bè, diciamolo: la frase ti perdono, sappi però che non dimentico ha il sapore del ‘non perdono’. Oh, ammetto che dimenticare è un’operazione pressoché impossibile, perché non dipende da noi riuscire a cancellare o a trattenere qualcosa che è dentro di noi. Quando si subisce una cosa molto molto brutta, chi riesce a tirarci un segno sopra? Chi riesce a girar pagina? Chi riesce a lasciar perdere? Insomma, dimenticare, anche se lo si vuole non è per nulla automatico! Quando una corda è rotta, si può fare un nodo, ma resterà sempre quel nodo a dirci che qualcosa di non piacevole è avvenuto. Se sei stato ferito, la ferita potrà anche rimarginarsi, ma la cicatrice rimarrà. Anche la miglior sarta può ricucire uno strappo ma a un’osservazione molto attenta il segno si scorge. Perdonare un calcio è un conto e lo si dimentica, ma certe malvagità ricevute sono talmente devastanti, che umanamente è impossibile cancellare. Non a caso a perdonare i suoi uccisori, fu il Figlio di Dio e non altri. E’ sorto a questo proposito il detto: Sbagliare è umano, perdonare è divino. Otto anni fa, con un gruppo di giovani di S. Ilario, andai in Israele. Incontrammo un frate che adesso è l’arcivescovo di Gerusalemme, mons. Pizzaballa. A una mia domanda su un futuro di pace fra ebrei e palestinesi, rispose secco: No, pace non ci sarà mai, a meno che - aggiunse - non avvenga un miracolo e io ai miracoli credo. E proseguì: Quando davanti a tuoi occhi vengono massacrati marito e tutti e cinque i tuoi figli, sorgono in te un dolore, un rancore e una disperazione che non ti lasciano più. Ora, tutto ciò vuol dire che perdonare è impossibile? No, perché davanti a Dio è la volontà di perdonare che conta, prima del perdono in sé. are Cercare di perdonare è già perdonare, pregare per essere capaci di perdonare è già un inizio di perdono.
Gesù, oggi 20 novembre, la liturgia ti invoca come Re dell’universo,
un Re davvero anomalo se il tuo trono è una croce
e se il tuo potere lo eserciti perdonando.
Gesù, vieni incontro al nostro desiderio di perdonare
sempre, ovunque e comunque.