Omelie Natalizie
(Messa della notte)
Ogni anno mi preparo al Natale meditando alcuni testi di autori spirituali. Uno di questi, che per me è tra le eccellenze di questi ultimi decenni, è il tedesco Dietrich Bonhoeffer. Si batté con coraggio contro il regime nazista. Imprigionato nel 1943, riuscì ugualmente a far uscire dal carcere testi e lettere, dal contenuto straordinario. Era in isolamento in una cella sudicia senza che nessuno gli rivolgesse la parola. Fu impiccato il 9 aprile 1945, dopo un processo sommario. Aveva 39 anni.
Bè, nel Natale 1943 scriveva ai suoi genitori: Una cosa voglio dirvi: non dovete pensare che io mi lasci abbattere da questo Natale in solitudine. (..) Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non è per me un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Io e molti prigionieri con me, celebreremo probabilmente un Natale ricco di significato, più di tantissimi altri. Un prigioniero capisce meglio di qualunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e mancanza di colpa hanno, agli occhi di Dio, un significato completamente diverso dal giudizio degli uomini. Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini son soliti distoglierlo. E che Cristo sia nato in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo, è per me un vero lieto annuncio. Un anno e mezzo dopo, intuendo prossima la morte dirà: È la fine, ma per me è l’inizio della vita. Nella lettera citata aveva anche affermato che viveva il Natale in prigione «con un certo orgoglio». Mi son detto: ma come fa uno, in isolamento in prigione, a vivere con orgoglio il Natale? Che orgoglio mai può essere? Risposta: è l’orgoglio di sapersi al seguito di Gesù, è l’orgoglio del sentirsi tra le braccia di quel Gesù nato in una stalla perché non aveva trovato posto nell’ albergo. Neanche per Bonhoeffer infatti c’era posto nella società dominante di allora, assoggettata al nazismo. Pure lui come Gesù si trovò rifiutato. Pure lui come Gesù si trovò condannato da innocente. Pure lui come Gesù si vide trattato come un pericoloso criminale, ridotto al silenzio. Da qui l’orgoglio di poter dire: sto vivendo la stessa esperienza che visse Gesù. Vivere gli ultimi 2 Natali della vita come li visse lui, era una sorta di autenticazione della sua fede cristiana. Muoio con fierezza, disse. Il regalo di Natale che ho chiesto per me quest’anno è il venir aiutato a riscoprire la parola ‘fierezza’, una parola che mi ricorda qualcuno che disse: Spesso, dire a qualcuno ‘sono fiero di te’, vale più di dirgli ‘ti amo’. Quando un padre dice al figlio Sono fiero di te è la cosa più bella che un padre possa dire al figlio. La fierezza è un gran bel sentimento. Quando tu mamma sei per strada insieme a tuo figlio 18enne e tutti ti vedono, non sei compiaciuta? Quando tu papà sei insieme a tua figlia 18enne e tutti ti vedono, non ne vai fiero? Diciamolo: i giovani rappresentano sempre un buon investimento. Lo vedo anche in me: quando io, prete non più giovane, sono attorniato da giovani, anch’io mi stimo e dico: Ma guarda, ho 68 anni e c’è ancora qualche giovane che sta volentieri con me! Per un prete avere vicino dei giovani dà fierezza, dà la misura della sua capacità di aggregazione. La gioventù è una sorta di fiore all'occhiello nella vita di un prete e di una parrocchia. Ecco allora la mia conclusione e il mio augurio.
Gesù, la tua nascita faccia nascere in noi il sentimento della fierezza, dell’orgoglio,
quell’orgoglio sano che ci impedisce di barattarti con ogni altro valore, fosse anche tutto l’oro del mondo.
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(Messa del giorno)
Se Natale vuol dire nascita, recita così una celebre frase di Pablo Neruda: Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno. Dunque, non nasciamo una volta sola. Per chi vuole vivere, la vita è piena di nascite. Dice una preghiera: Gesù, la tua nascita sia per me forza che mi fa rinascere ogni volta che le mie speranze si spengono. Ogni volta che mi mancano le forze per lo scalino successivo. Ogni volta che mi pare di collezionare fallimento su fallimento. Ogni volta che la malinconia corrode ogni spazio di gioia. Ogni volta che non so più abbandonarmi in te. Una festa grande come quella di oggi è portatrice di parole forti, di parole di luce, di parole benedette, capaci di far rinascere chiunque le pronuncia e le abbraccia. Vediamole queste parole: ne ho individuate 6, anche se dentro lo scrigno della culla di paglia di Betlemme, ce ne son molte di più.
> La 1^ è fierezza, necessaria per affrontare le sfide. Ne ho parlato questa notte.
> La 2^ è generosità, necessaria per accogliere e condividere.
> La 3^ è saggezza, la saggezza pensosa che di fronte alle domande più profonde cerca le risposte.
> La 4^ è franchezza, quella che fa uscire allo scoperto ogni che sono in pericolo valori irrinunciabili.
> La 5^ è compassione, la compassione del buon samaritano che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, promuove opportunità capaci di farsi carico dei più fragili. A questo proposito, mi lascio andare a un ricordo d’infanzia. Quand’ero ragazzino e si svolgevano le processioni religiose in parrocchia, il parroco per far procedere ordinatamente il corteo diceva: Prima le donne e i bambini, poi tutti gli altri. Un invito così era segno di una mentalità, lasciava trapelare una priorità, una priorità dal nome: “al primo posto ci siano sempre i più deboli.”
> La 6^ parola è speranza. C’è qualcosa di peggio del morire: è il morire della speranza. C’è un motto che dice: La speranza è l’ultima a morire ma anche la prima ad ammalarsi. Su questa parola ‘speranza’, la fede cristiana non la pensa come comunemente si pensa. La speranza non si costruisce sulle proiezioni statistiche, sulle previsioni degli intellettuali, sulle ideologie. La speranza non è quella che tira a campare in base alle parole Chissà?! Non si sa mai. No, non stanno così le cose per la Parola di Dio. L’arrivo nel mondo di Gesù è stato un evento attestante che la vita è comunque promettente, che non siamo destinati al nulla, che non siamo una presenza insensata in un universo insensato, ma siamo persone uniche, con una vocazione che ci autorizza ad avere stima di noi stessi e ci chiama a mettere a frutto i talenti ricevuti per il bene di tutti.
* Credetemi, l’umanità ha un estremo bisogno di giornate come quella del Natale. Natale è una parola che trasmette felicità solo a pronunciarla. Guai se non ci fosse il Natale. Ci deve essere almeno un giorno nell’anno che mira a ricordarci che siamo al mondo per qualcosa che va oltre il mio bene personale. Da sempre io ho un’idea di Natale come di un bel momento, l’unico momento dell’anno che io conosca, in cui uomini e donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi. Il Natale più che una data è una bella notizia, il Natale più che una ricorrenza è una grande opportunità. Il Natale più che un giorno di dicembre, è un regalo.
Concludo con questi auguri. Se uno dei nomi natalizi di Gesù è Emmanuele, che vuol dire ‘Dio con noi’, io dico: con una compagnia come quella di Gesù, abbiamo il diritto di sognare, di sperare, di gioire non inutilmente. Nessun amore è inutile, nessun impegno è inutile, nessun sforzo è inutile. Ci par poco tutto questo?