Omelie di Domenica 15 gennaio 2023 - II Domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Qualche giorno fa leggevo un’omelia di mons. Óscar Romero, un vescovo salvadoregno, ucciso 43 anni fa mentre celebrava la Messa. Il Papa, cinque anni fa, lo proclamò santo. Bene, in quell’omelia, questo vescovo martire raccontò una storia, che ci è di aiuto nella comprensione del Vangelo di questa domenica.
C’era una carovana, guidata da un beduino del deserto, era disperato per la sete e procedeva all’impazzata alla ricerca di acqua nei miraggi del deserto. Egli, nel tenere le briglia dei cavalli, li incalzava anche con la parola. Diceva, meglio gridava: ‘Non di là, ma di qua’. E così varie volte, finché uno che era dentro la carovana, innervositosi, si espose fuori e con la pistola gli sparò. Il conducente, pur agonizzante, non smetteva di tendere la mano, per non smettere di dire: ‘Non di là, ma di qua’.
E finì che morì così, indicando la strada.
Le paroline che m’interessano sono: morì indicando la strada. Ora, il Vangelo che abbiamo ascoltato si è aperto con una scena simile. C’è Giovanni Battista che, vedendo arrivare Gesù, col dito puntato lo segnala a tutti, come a dire: ecco colui che dovete seguire. Cito il testo: Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l'agnello di Dio. Giovanni Battista quel giorno, come il beduino del racconto, volle indicare una strada e dire: Gesù è la vera strada per incontrare Dio. Il cardinale Ravasi ha definito Giovanni Battista l’indice puntato verso Cristo. Che è esattamente la definizione del cristiano: un indice puntato verso Cristo. Tendendo la mano verso Gesù, il Battista voleva dire: Il vero bene di tutti noi non siamo noi, ma Lui. Il brevetto della nostra vita non sta in noi ma in lui. Portiamoci a casa questa mattina quest’immagine del dito puntato e del beduino che dice non di là, ma di qua.
Solo che, per essere persone “proiettate” verso Gesù, ci è necessaria una struttura interiore come aveva Giovanni Battista, una struttura che non ha al centro se stessi, ma che ha al centro l’Alto e l’altro. Voglio approfondire queste cose con due pensieri.
Il primo - Quand’è che viviamo bene? Risposta: quando viviamo per gli altri. Il cristiano non è una persona autoreferenziale, ma proiettata sugli altri. Quindi, a me e a voi dico: smettiamola di parlare sempre di noi, smettiamola di citarci sempre (io ho fatto, io sono stato .., mi è accaduto ..) Così facendo siamo sempre noi al centro. Invece, se vivere è amare, amare è mettere le necessità dell’altro prima delle mie. Ciò che Dio attende da me non è che io affermi me stesso, ma che io divenga un dono, dono di me agli altri. Risuona qui la parola di Gesù: chi perde la sua vita la troverà. Diceva M.L. King: La domanda più persistente e urgente è: cosa sto facendo per gli altri?
Secondo pensiero - Chi vive per il Signore e per gli altri è in genere una persona più felice, più serena. Vivere per gli altri non è solo un dovere, è una gioia e cercare di essere un po' gioiosi è importante, forse più della salute. Se non sorridiamo mai, siamo un caso preoccupante. Qualche anno fa è uscito un libro di un padre gesuita dal titolo Anche Dio ride. Sottotitolo: Perché gioia, umorismo e riso sono al centro della vita spirituale. Se non siamo gioiosi non offriamo alcuna testimonianza. Il Vangelo è venuto a dirci: non ti garantisco di avere successo, ma di essere felice, sì. Non ti garantisco di essere perfetto ma felice, sì. Non ti garantisco di non avere problemi, ma di mantenere una coscienza serena, sì. Il binomio ‘stanchi ma felici’ oppure ‘non perfetti ma felici’ ’ è possibile, e come!
Concludo con una domanda: siamo convinti che donare
la vita agli altri in nome di Gesù è il miglior modo di vivere?