Giovedì santo
In questa mia omelia ho pensato di lasciarmi ispirare da tre elementi presenti nel testo evangelico: l’acqua, i piedi, l’asciugatoio. L’acqua è quella usata da Gesù per lavare i piedi, i piedi sono quelli dei 12 apostoli, l’asciugatoio è l’indumento che Gesù si cinse in vita per asciugare i piedi.
Comincio dall’acqua
Commento questo primo elemento con le mirabili parole di Madeleine Delbrel: Gesù, se dovessi scegliere una reliquia della tua passione prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. E con esso girerei il mondo. Ad ogni piede mi fermerei, mi cingerei con l’asciugatoio, mi curverei giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio, per non distinguere gli amici dai nemici, in modo da lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del malato, del carcerato, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio, col desiderio che tutti possano cogliere nel mio amore, il tuo amore.
Passo ai piedi
Qualcuno ha detto: i piedi sono il traguardo di ogni serio cammino spirituale. Parole strane, ma solo apparentemente, perché hanno per fondamento il fatto che Gesù in quell’ultima sera, onorò dei piedi e disse: Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Approfondiamo questo punto. Chi guarda le persone dall’alto al basso non obbedisce al gesto di Gesù, perché lui, lavando i piedi guardò i suoi discepoli dal basso verso l’alto. E cioè: per il Vangelo l’immagine ‘alto/basso’ significa che è il basso il vero alto. In un’altra pagina evangelica si legge: Gesù si sedette in un luogo pianeggiante e alzati gli occhi verso i suoi discepoli, cominciò a dire: Beati voi poveri... Anche qui troviamo Gesù che guarda le persone non dall’alto al basso ma dal basso verso l’alto. Dove voglio arrivare? A dire che l’immagine ‘alto/basso’ è un invito all’umiltà. Viene in mente la frase di Gesù: chi vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. Quindi, inginocchiarsi, chinarsi e guardare verso l’alto son gesti, simbolo di umiltà. Ha detto G. Papini: L' uomo per innalzarsi deve inginocchiarsi. E se la sera dell’ultima cena Gesù s’inginocchiò davanti ad ogni apostolo, anch’io tra qualche minuto farò questo gesto verso questo gruppo di ragazzi.
E infine… l’asciugatoio
Dice il testo evangelico: Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e si cinse un asciugatoio. Gesù ci vuole “Chiesa dell’asciugatoio.” Nelle nostre liturgie abbiamo le chitarre, i canti, i chierici, i lettori, l’incenso. Dovremmo, introdurre anche l’asciugatoio, l’unico paramento sacro presente in quella prima Messa della storia, che fu l’ultima cena. E’ l’asciugatoio che ci dobbiamo mettere, come parrocchia, come Unità Pastorale, come famiglie cristiane. Gesù, la sera prima di morire, servendosi dell’asciugatoio, ci ha voluto lasciare un modello di comunità, che così descrivo: aiutarci l'un l'altro, servirci come possiamo e come sappiamo, indossare i vestiti dell’umiltà. Ogni anno, il Vangelo del giovedì santo, usando le parole depose le vesti e si cinse di un asciugatoio viene a dirci: svestiti/deponi gli abiti del poco impegno e indossa gli abiti del servizio umile, gratuito e verso tutti.
Venerdì santo
Oggi, venerdì santo, non servono parole, serve commozione. Chi ha ascoltato il lungo racconto della passione di Gesù non con le orecchie soltanto, ma col cuore, probabilmente s’è commosso. In esso c’è un intreccio: l’intreccio di cose molto negative con cose molto positive. Quelle negative: il tradimento di Giuda, la vigliaccheria di Pietro, la condanna a morte di Gesù, l’ambizione dei sommi sacerdoti, i volti duri e sdegnati dei membri del sinedrio, il pettegolezzo cattivo di una donna, che ha come costretto Pietro a rinnegare il Signore, l’odio inferocito della folla, i volti spietati dei soldati che picchiano e deridono Gesù, la vigliaccheria di Pilato, ecc... In un contesto così negativo compaiono però elementi di speranza: Simone di Cirene che, pur costretto, allevia per qualche metro il peso a Gesù; il centurione, che per primo - lui, pagano - professa che quel Gesù in croce è il Figlio di Dio. Ci sono poi i volti carichi di compassione delle donne che guardano da lontano la scena del Golgota e accompagnano poi Gesù alla tomba. C’è poi Giuseppe di Arimatea, che assicura a Gesù una degna sepoltura. Insomma, quel giorno, in un oceano di odio, ci furono, qua e là, sprazzi di amore vero.
> E allora veniamo ora a noi. Domanda: il volto di ciascuno di noi, contiene i tratti induriti dei nemici di Gesù? O i tratti impauriti degli amici che lo hanno abbandonato? O i tratti amorevoli di coloro che lo han seguito fin sul Calvario? Ognuno analizzi ben bene i singoli personaggi della passione di Gesù, con lo scopo d’arrivare a individuare quello che più gli assomiglia. Scopriremo di assomigliare a Pietro o a uno dei discepoli impauriti o a Pilato o al Cireneo, ecc. In questo modo, sì, che potremo dire di essere davvero entrati nel racconto evangelico della passione di Gesù. Scopriremo che al posto del personaggio che ci rassomiglia, noi saremmo stati migliori o peggiori. Termino con una preghiera che traggo da un antico testo liturgico.
Signore Gesù, ascoltaci, come ascoltasti sulla Croce la preghiera del ladrone pentito.
Signore Gesù, guardaci, come guardasti dalla croce la tua Madre addolorata.
Signore Gesù, parlaci, come dalla croce parlasti al discepolo Giovanni nell’affidargli la tua santa Madre.
Signore Gesù, apri le tue braccia come le apristi sulla croce per abbracciare tutti gli uomini. Amen
Sabato santo
La presente veglia pasquale segna il passaggio dal sabato santo alla domenica di Pasqua. Dei quattro giorni pasquali (giovedì santo, venerdì santo, sabato santo, domenica di Pasqua) il sabato è quello che passa più sotto silenzio nei Vangeli. Mentre il giovedì fu il giorno dell’ultima cena e dell’arresto di Gesù, mentre il venerdì fu il giorno della morte di Gesù e della sua deposizione nel sepolcro, mentre la domenica fu il giorno della resurrezione... del sabato i Vangeli non dicono quasi nulla. Sembra essere il giorno del grande silenzio. Dice un’antica omelia sul sabato santo: Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme. La gente dei tempi di Gesù visse in tre modi il sabato santo. C’era chi piangeva ed era disperato per il fatto che Gesù era stato ucciso, un giorno che decretava la fine di tanti sogni. C’era poi chi, pur angosciato, conservava un filo di speranza: la speranza che Gesù sarebbe risorto, come lui stesso aveva lasciato intendere. E infine c’erano coloro a cui la morte del nazareno non importava un bel nulla. In tutti i modi, fu un giorno mesto, di riflessione silenziosa, con nessun riflettore puntato su di sé, con poca gente in giro: un ‘giorno intercalare’, un ‘giorno pausa’, un giorno tra il dolore del venerdì santo e la gioia della domenica di Pasqua. Eppure, fu proprio perché fu un giorno così - di sosta, di silenzio, di pausa - che contiene un messaggio per noi. Quale? Lo dico attraverso qualche domanda: lungo la tua vita sai fare una sosta? Lungo i tuoi giorni sei capace di fermarti? C’è un qualche sabato santo nella tua vita, cioè uno spazio in cui ti fermi, fai una sosta, fai silenzio, rifletti e soprattutto ti poni innanzi a Dio? Ecco dove vuole portarci una giornata così atipica ma anche così opportuna come il sabato santo. C’è nella Bibbia, per bocca del profeta Isaia (21, 11), una domanda interessante: Sentinella, quanto resta della notte? E’ una domanda che sottintende quest’invito: vivi la tua vita con lo spirito della sentinella, lo spirito cioè dello sguardo in avanti, nutrito di pazienza, resistenza, speranza certa, preghiera. Ha detto un mio maestro spirituale, p. G. Vannucci: Dio creandoci ci ha messo gli occhi davanti e non nella nuca, per ricordarci che occorre sempre guardare avanti. Io trovo molto pasquale la domanda del profeta Sentinella, quanto resta della notte?, perché vuol dire: Sentiti una sentinella. E’ vero, forse c’è ancora buio nella tua vita, ma se sentinella sei, sai che arriverà il chiarore dell’alba. E quando il chiarore arriverà, sarà grazie alla risurrezione di Gesù. Cos’è stata la risurrezione di Gesù? E’ stata quell’evento che ha ucciso la morte. E in questo modo Dio ha dotato la vita di tutti, di un approdo felice, di un finale luminoso. Descrivo la consolante verità che promana dalla risurrezione di Gesù con otto affermazioni.
1) Non c’è morte che non confluisca in vita
2) Non c’è buio che non divenga luce, come il giorno che nasce dalla notte
3) Non c’è amarezza che non si stemperi in sorriso
4) Non c’è peccato che non ottenga perdono
5) Non c’è sepolcro la cui pietra non venga srotolata
6) Non c’è lacrima che non venga asciugata
7) Non c’è disperazione che non venga annientata.
8) Non c’è morte che non profumi di risurrezione.
Ecco, tutto questo opera la resurrezione di Gesù. E quest’opera si attiva ogni volta che ci accostiamo ai sacramenti, in particolare alla Messa.
Concludo lasciandovi una frase che ho sentito in un’omelia pasquale di un mio amico prete: Gesù, risorgendo, è divenuto come un sarto che cuce e ricuce le mie speranze.
Domenica di Pasqua
Venerdì, uscendo di chiesa, c’era ad aspettarmi un giovane. M’ha detto: don, credere che Gesù sia risorto, per me è troppo. Da quando in qua uno risorge da morte? Che nella vita possano accadere cose straordinarie lo so bene, ma arrivare a credere che uno, morto, torni in vita, ripeto, è troppo. Vi risparmio la discussione che è sorta, ma il succo di quanto ho detto a quel giovane ve lo voglio dire.
- Per credere nella risurrezione, ma più in generale, per essere cristiani, occorre un DI PIU’, un DI PIU’ che oltrepassi la ragione: un di più fatto di fede, di cuore, di affidamento, di coraggio, di fiducia. Lo ammetto: non ce la si fa ad accettare la resurrezione di Gesù se usiamo la ragione sola, come non ce la si fa ad accettare la resurrezione di Gesù se si ritiene che ciò che è vero coincide con solo ciò che si vede e si tocca. E’ vero: nessuno ha visto Gesù risorgere, possediamo solo la sola testimonianza di chi lo ha visto già risorto. Ma il punto sta proprio qui: ciò che si vede non è tutto. La resurrezione di Gesù, la si accetta solo accogliendo con fiducia la testimonianza di coloro che l’hanno visto risorto. Una considerazione a cui ci porta la Pasqua è proprio questa: non dobbiamo ritenere che “il vedere” e la ragione siano l’unico modo per capire le cose. Se portiamo all’estremo questo ragionamento dovrei arrivare a dire che mia madre non è detto che sia mia madre, perché io non mi son visto nascere da lei. Tra l’altro è così anche dell’amore: l’innamoramento ha forse un perché razionale? Insomma, la ragione non basta a spiegare le cose più belle della vita, quali la fede, l’amore, l’amicizia, la famiglia e, appunto, la resurrezione di Gesù. Eppure, anche se invisibile, Gesù è incontrabile! Come? A seguito dell’incontro con qualcuno la cui parola ci ha ispirato o attraverso la testimonianza di chi in Lui crede o attraverso l’esperienza di amici credenti. C’è anche chi rimane nella fede grazie alla mamma, anziana, tanto credente. C’è fin chi arriva a Dio tramite l’arte o la poesia o la musica. Ripeto allora: chi ha mai detto che la ragione sia l’unico strumento per capire la vita? Nell’enciclica ‘Fides et Ratio’, papa Giovanni Paolo II dice: la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità.
- Fatta questa lunga premessa, vi lascio uno spunto di riflessione per me molto bello. Se è vero che Gesù, risorgendo, è passato dall’essere presenza visibile all’essere presenza invisibile, c’è in proposito un bellissimo brano. Si tratta di un testo, dal titolo Cristo non ha mani, di un anonimo autore fiammingo del XIV° secolo. Sentite... e accogliete queste parole come il mio augurio pasquale.
Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi il suo lavoro.
Cristo non ha piedi
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini
sui suoi sentieri.
Cristo non ha labbra
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé agli uomini di oggi.
Cristo non ha mezzi
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé oggi.
Noi siamo l'unica Bibbia
che i popoli leggono ancora,
siamo l'ultimo messaggio di Dio
scritto in opere e parole.
Lunedì dell’Angelo
Abbandonato in fretta il sepolcro, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Così inizia il Vangelo di questo giorno ancora pienamente pasquale. Stando a queste parole, in quel famoso mattino di Pasqua il primissimo annuncio che si udì non fu Gesù è risorto! ma: Il sepolcro è vuoto, il corpo di Gesù non c’è più. Dove potrà mai essere? Chi può averlo prelevato? Un tale annuncio dunque non aveva per contenuto una presenza - quella di Gesù risorto - ma un’assenza, quella del corpo di Gesù. Il primo annuncio di quel mattino pasquale non aveva per contenuto una speranza ma una preoccupazione: un corpo (un corpo importante) mancava all’appello. Chi era andato, aveva visto il sepolcro vuoto e le bende per terra, ma non Lui. Pensate, prima dell’annuncio Gesù è risorto! c’è stato l’annuncio Gesù non c’è! Prima è stata annunciata un’assenza, solo in seguito una presenza. Anche nel vangelo di domani, sentiremo M. Maddalena che dice: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto. Anche nel suo caso il primo pensiero non fu la resurrezione di Gesù, ma: se Gesù non è più nel sepolcro, dove mai sarà? Dunque, il giorno di Pasqua, il primo dibattito che sorse non fu su Gesù risorto, ma su Gesù che non c’era. Fu col passare delle ore che prese il via, con sempre più forza, l’annuncio Gesù è risorto, perché? Ma perché Gesù cominciò a farsi vedere, prima alle donne e poi agli apostoli.
Ora, io in questa mia omelia voglio riprendere quella prima domanda e approfondirla: se Gesù non è più nel sepolcro, dove mai potrà essere? Nel rispondere voglio andare oltre quel che dice il catechismo (Gesù da quando non è più nel sepolcro, lo si trova nei sacramenti, nei poveri, nella Chiesa...). Voglio andare oltre queste parole, pur giuste, e rispondere indicando altri luoghi dove Gesù s’è spostato dal sepolcro.
Ho in mente quattro punti.
> Quando nella tua famiglia o nelle tue amicizie ci si perdona, ci si riconcilia, è segno che Gesù dal sepolcro è passato a te.
> Quanto abbandoni l’orgoglio, cessi di fare il sostenuto e il saccente, e diventi più consapevole delle tue fragilità, assumendo atteggiamenti più di ascolto e meno protagonistici, è segno che Gesù dal sepolcro è passato a te.
> Quando, qualsiasi cosa ti accada, non ti lasci rubare la speranza e continui ad amare la vita, stanne certo: è perché Gesù dal sepolcro dov’era ha preso dimora in te.
> Quando riesci a capire che nella vita più che aver ragione conta amare, che più della parola io conta la parola tu e che essere credenti è avere sempre un motivo per andare avanti, stanne certo, tutto questo ha una ragione: Gesù ha lasciato il sepolcro ed è venuto ad abitare presso di te.
Mi fermo. Ho solo dato qualche risposta alla domanda della Maddalena: Dimmi, dove hanno posto il corpo del mio Signore? Diciamo allora: Gesù risorto, aiutaci a cercarti dove sei e non in sepolcri vuoti o tra i morti o tra le banalità. Aiutaci a cercarti dove la vita nasce, cresce, soffre, gioisce o domanda aiuto, perché è lì che tu ami abitare.