Omelia di Domenica 23 aprile 2023 - III Domenica del Tempo di Pasqua, Anno A
Inizio con l’ambientare il Vangelo che abbiamo appena ascoltato. Siamo nel pomeriggio del giorno di Pasqua, Gesù è appena risorto. Ci sono due suoi discepoli, in cammino verso casa. Erano di Emmaus. Sono delusi perché Gesù non è risorto, la notizia della risurrezione, a loro non era ancora giunta. E cosa accade? Che Gesù stesso nelle vesti di un viandante forestiero si affianca a loro e con loro fa una lunga conversazione, quella che abbiamo appena sentito.
> Ho pensato di lasciarmi ispirare da un dettaglio del racconto, che secondo me dettaglio non è: all’arrivo di Gesù e sentendo la sua domanda, i due discepoli, si fermarono, tristi. Gesù dunque colse i due discepoli in un momento di tristezza. Meno male che poi Gesù ribalterà quel loro stato d’animo. Pensate, nel giorno più gioioso della storia, quei due avevano l’umore a terra. Vi racconto un episodio che mi hanno riferito. La suora di un asilo parrocchiale stava tornando a casa da un corso di esercizi spirituali. Era in treno ed era felice perché finalmente aveva avuto la possibilità di passare alcune giornate di riposo, preghiera e riflessione, interrompendo così il ritmo intenso della sua impegnativa scuola materna. Evidentemente le si leggeva in volto che era contenta, se a un certo punto la signora che era seduta di fronte a lei nello scompartimento, le rivolse queste parole: Sorella, la trovo così contenta che non sembra neanche una suora. Complimento strano, che lasciò la suora stupita: non sapeva se rallegrarsi per l’apprezzamento personale o dispiacersi per la frecciatina alla categoria. Nel riferire poi, a casa, alle altre suore l’accaduto, disse: questo complimento inaspettato m’ha persuaso, ancor più, che la gioia è difficile da tenere nascosta: ti esce dagli occhi, dalle parole, dai gesti.
> Mi chiedo: su questo tema come siamo messi noi credenti? E’ importante che si rifletta su questa cosa perché è su questo terreno che si gioca la nostra credibilità. Ci sono nelle nostre comunità, cristiani bravi ma tristi, corretti ma malinconici, diligenti ma seriosi, devoti ma cupi. Lo ricordo come se fosse ieri: anni fa, durante una Messa in campeggio, un giovane fece una preghiera molto/molto particolare, che colpì tutti. Sentite: Signore, ma perché ci sono persone tutte ‘casa e chiesa’ che non sorridono mai e non rivolgono quasi mai la parola? Signore, nel chiederti che i cattivi diventino buoni, ti chiedo pure che i buoni diventino simpatici. Mi raccomando, Dio: rendi un po’ più simpatiche le persone che vanno in chiesa.
> A questo punto, qual è la cosa da fare che ci spetta? Questa: imitare i nostri due discepoli nell’accettare che Gesù si faccia, anche con noi, nostro compagno di strada. Così facendo, ci accadrà come a loro: la tristezza se ne andrà. La possibilità che tutto questo cominci ad accadere l’abbiamo proprio adesso, che siamo a Messa. Faccio notare che la gioia di cui sto parlando non è l’allegria del momento, non è la gioia esteriore, rumorosa e che presto si dissolve. Non è nemmeno la gioia proveniente dall’indossare scarpe firmate o dall’essersi imbattuti in un colpo di fortuna o consistente in un sorriso di facciata come quello delle conduttrici televisive. Al contrario, Gesù dona a noi una gioia di contenuto, di maturità, di solidità interiore, di esperienza e di sapienza.
> Prima di concludere voglio solo fare un cenno a un altro particolare del Vangelo, là dove dice: Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Commento così queste parole: a poco serve incontrare se non hai occhi che non sanno riconoscere. Voglio dire: ai tempi del Vangelo, Gesù andava conosciuto, oggi va riconosciuto; ai tempi del Vangelo, Gesù era veduto, oggi occorre vederlo in chi ci è vicino, negli altri, nella Chiesa.
Signore, grazie per come hai trasformato i due discepoli di Emmaus.
Anche con noi fa così, perché anche a noi accade di non essere sempre cristiani solidi.