Omelia di Domenica 10 settembre 2023 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno A
Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Così è iniziato il Vangelo che abbiamo ascoltato, un inizio che mi fa venire in mente una cosa che ci si è detti qualche giorno fa durante gli esercizi spirituali con i ragazzi: se non interrompi il tuo amico mentre sta commettendo un errore, gli sei nemico, non amico. Per Gesù, lasciare uno nell’ errore è non volergli bene. Per il Vangelo, siamo responsabili gli uni degli altri. O se volete, siamo custodi l’uno dell’altro.
Ognuno ha in carico l’altro; l’altro è un altro me stesso. Don Milani fece affiggere all’ingresso della sua scuola questo motto: I care, che significa: Mi importa in opposizione alla brutta espressione me ne frego. Quante volte ci scappa detto: ma che m’importa di te? E quello chi è? E tu, che ci stai a fare qui? Oh, senti, son problemi tuoi, sbrigatela tu... tutte frasi lontanissime dal Vangelo. E’ urgente che ci verifichiamo su questo tema, perché, non so voi, io ho la sensazione di vivere in una società dove ci si trascura. Una delle prime domande della Bibbia è: Sono forse io il custode di mio fratello? Una domanda che ne porta con sé altre: quanto c’entra l’altro con la mia vita? Che cosa mi autorizza a intervenire nella vita di un altro? Dove finisce l’occuparmi di me e dove inizia l’occuparmi degli altri? Qual è il segreto per riuscire ad uscire da me stesso per occuparmi dell’altro? Il Vangelo è molto chiaro in proposito: ciò che accade all’altro mi riguarda. Se ogni gruppo cristiano è una fraternità - Gesù di proposito usa la parola fratello - le nostre vite sono tra loro intrecciate, tu sei un altro me stesso, chi ferisce te ferisce me, se uno colpisce te io sono parte lesa. Siamo chiamati ad essere un noi e non un io e un tu.
> Ora, tutto questo ha una conseguenza che così descrivo: le relazioni con le persone, solo se le curi funzionano. Quindi, abbiamo cura di chi amiamo? Ecco allora una parola su cui dobbiamo assolutamente riflettere: trascurarsi. Chi ama non trascura. Ci sono sposi che si sentono trascurati dal coniuge. Ci sono nonni che si sentono trascurati dai figli o dai nipoti. E così è anche nelle amicizie, nelle parrocchie e ovunque c’è un gruppo, un’aggregazione. Qualcuno ha detto che il contrario dell’amare non è odiare ma trascurare. Vedersi o sentirsi trascurati è sempre un colpo duro. Badate che ciò che trascuriamo diventa di qualcun altro e quindi non meravigliamoci se chi trascuriamo si volge altrove. Tutto ciò che trascuriamo, prima o poi guarda altrove.
Gesù, questa mattina, attraverso l’invito alla correzione fraterna, ci hai invitato a prenderci cura gli uni degli altri. Aiutaci ad avere questa sensibilità, o meglio, metti in noi la tua sensibilità.