Omelia di Domenica 10 dicembre 2023 - II Domenica di Avvento, anno B
Oggi, diversamente dal solito, ho pensato di lasciarmi ispirare dalla prima lettura della Messa. Contiene un invito che il profeta Isaia a nome di Dio indirizzò al popolo ebreo: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta.” Cos’era successo? Che il popolo ebreo, in esilio, lontano dalla sua terra (siamo attorno al 700 a.C.), si vide raggiunto da un annuncio straordinario, l’annuncio della fine di quell’epoca tanto triste. Dio volle dire in quella circostanza: Popolo mio, amato, il tempo della tua tribolazione è finito, ora puoi guardare con fiducia al tuo futuro. Quindi, le due parole “consolate, consolate” stanno per: rincuoratevi, risollevatevi, in alto i cuori, perché il brutto sta per finire e il bello sta affiorando. Proviamo adesso a lasciare quest’epoca lontana, per vedere se pure noi, oggi, abbiamo bisogno di un messaggio simile. Io dico di sì.
> Se venerdì nell’omelia ho parlato dell’ascolto come primo passo dell’amore verso il prossimo, oggi aggiungo che fa parte dell’amore del prossimo anche la consolazione, cioè il rincuorare, il confortare, l’incoraggiare, addolcire il peso dell’afflizione. Se in quell’epoca lontana, fu il profeta Isaia il tramite con cui Dio consolò il popolo, oggi siamo noi cristiani questo tramite. Pertanto, ci sentiamo investiti di questo compito? Ci sentiamo portatori della consolazione di Dio? Siamo consapevoli che Dio conta su di noi per poter consolare chi non sta bene? Il catechismo annovera tra le sette opere di misericordia spirituale “consolare gli afflitti”. Nella Bibbia c’è un salmo (il 68) che m’ha sempre fatto tremare. Dice: “Ho atteso consolatori, ma non ne ho trovati.” Nel giorno del giudizio che non ci accada di venire rimproverati per aver sciupato le occasioni che Dio ci ha dato per consolare qualcuno. Ci sono però persone brave, in tema di consolazione. Sto pensando ai ministri della Comunione ai malati, agli operatori della Caritas, ai volontari AVO, a coloro che senza darlo a vedere offrono vicinanza e consolazione a chi è solo o nella tristezza. Dio benedica tutte queste persone e le ricompensi.
> Vorrei adesso entrare nel merito del tema e dire una parola su cosa vuol dire propriamente consolare: Come si fa a consolare? Di cosa è fatta la consolazione? Ho in mente quattro cose.
La prima è sapere che consolare non è una cosa ovvia, né facile e richiede innanzitutto il rispetto del dolore di chi ci è davanti. Di per sé, solo chi è passato per la sofferenza, meglio di altri capisce chi soffre e sa consolare chi soffre.
Seconda cosa > mettersi nei panni dell’altro, coscienti che per quanto ci immedesimiamo nella sua situazione, mai riusciremo a comprenderlo fino in fondo. Chi sta molto male, solo lui sa il male che lo tortura.
Terza cosa > Per consolare occorre scegliere bene le parole. Occorre andare oltre le parole di rito, di circostanza o fin banali. Quando conforti qualcuno, o le parole ti escono dal cuore, diversamente ottieni ben poco. Invece, quando parli col cuore, tocchi sempre il cuore.
Quarta cosa > Per consolare non è obbligatorio dire parole o fare discorsi. La consolazione la si dà anche stando in silenzio, tenendosi la mano, guardandosi negli occhi, pregando, ecc. Anche col silenzio e con gli occhi si trasmette consolazione.
Concludo: se domenica scorsa la Parola di Dio ci aveva consegnato il verbo vegliare, oggi ci consegna un altro verbo, consolare. Diciamo: Gesù, aiutaci ad essere portatori della tua consolazione a quanti sono abbattuti o nel dolore.