Omelie del 25 e 26 Dicembre
25 dicembre - Santo Natale
(Messa della notte) La grande ruota della storia ha sempre avuto la stessa direzione: dal piccolo verso il grande, chi ha di meno cerca di avere di più, chi ha poco desidera il tanto, chi è debole vuole essere forte. Invece, a Natale la grande ruota della storia s’è come bloccata, ha girato all’incontrario: Dio verso l’uomo, il grande verso il piccolo, il cielo si dirige verso la terra, i sapienti Magi arrivano da un neonato. Ecco il Natale: Dio cerca la piccolezza, Dio ama la piccolezza: una stalla diviene il luogo di Dio, la liturgia più santa si celebra non tra incensi e candele ma tra paglia, respiro di animali e pianto di un bimbo. Un teologo brasiliano ha detto: Nel mondo tutti vogliono crescere. Ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere ‘dio’. Solo Dio vuole essere bambino.
> Due nomi dunque ha il Natale: nascondimento e piccolezza. Se i tre verbi “salire, comandare, prendere” fanno parte dell’istinto umano, il Natale ogni anno viene a ricordarci il valore di tre verbi di segno opposto: “scendere, servire, donare.” Questo è il nuovo ordinamento delle cose disposto dal Natale. Ora, questi tre verbi (scendere, servire, donare) sono sintetizzabili in una parola: umiltà. Vuoi essere un grande? Comincia con l'essere piccolo, ecco il messaggio natalizio. Quand’ero parroco a Correggio, ebbi l’occasione di stare vicino a una mamma che poi morì di leucemia. Aveva una bambina piccola e il papà, dopo la scomparsa della moglie, cercò di prendersi cura della piccola, da solo. E così, fra le tante cose, preparava lui il mangiare per poi darlo alla piccola, col biberon. Un giorno - io ero presente - mentre il papà cercava di porgere il biberon alla piccola, lei allungò le manine, gli prese il biberon e cominciò a girarlo proprio come faceva la mamma… Pensate, quel ricordo di mamma s’era impresso in lei. Questo episodio che vi sto raccontando ha un sapore natalizio, in quanto ci dice che si può imparare anche da un neonato. Questa è l’umiltà: essere capaci di imparare da tutti. Nella mia vita, i miei maestri son stati soprattutto le persone semplici, perché nel fare appunto cose semplici, han sempre messo lo stesso ingegno di chi fa un’opera d’arte. Il Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza.
> Visto che sono in tema di umiltà, una cosa mi preme dire. Guardiamoci dal verbo apparire! Oggi viviamo in un tempo in cui tanti sono ossessionati dall’apparire. Sono in netto crescendo coloro che mettono qualcosa di sé sui social. Siamo nel tempo del trucco, direbbe il Papa, il quale aggiungeva: tutti si truccano e cercano di mettere in vetrina sé stessi. Apparire è un po’ come volere dei preziosi bicchieri di cristallo senza preoccuparsi che il vino sia buono. Il vino buono lo si beve anche in un bicchiere normale. E allora, in tema di famiglia per esempio, ciò che conta è che non venga a mancare il vino buono dell’amore, della tenerezza, della compassione reciproca, della fedeltà.
Ora, è questo l’amore. L’amore per definizione non fa rumore, l’amore non ama avere i riflettori puntati su di sé, l’amore non ha sempre sulla bocca il proprio io, anzi, lascia spazio all’altro. Nei rapporti di coppia o di amicizia, quanto spazio lasciamo all’altro? O lo riempiamo tutto noi? L’amore non soffoca l’altro di spiegazioni, parole, raccomandazioni perché sa che “parlare, parlare, parlare” può essere una forma di potere e di condizionamento. Al contrario, chi ama rispetta, chi ama detesta il troppo, chi ama è discreto e modesto.
Buon Natale allora, e che sia per tutti un Natale di nascondimento, piccolezza e umiltà.
(Messa del giorno) La nascita di Gesù è la notizia più decisiva che sia risuonata nel mondo. Ed è una notizia attendibile perché viene dal Cielo. Ogni volta che una notizia viene dalla terra, quante volte ci delude! I salvatori terreni, siano essi politici o attori o atleti o cantanti o intellettuali, che si succedono a ogni tornante della storia, spesso/troppo spesso ci lasciano immancabilmente nei nostri guai. Invece la notizia del Natale è giunta a noi da un angelo, cioè dall’Alto e proprio per questo è di marchio buono, sicuro, divino. Tra qualche minuto nel Credo, di Gesù, diremo discese dal Cielo. Bene, se discese dal Cielo, due domande sorgono: chi è questo bimbo disceso dal Cielo? E cos’è venuto a fare?
Chi è mai questo bimbo? Questo bimbo è Gesù e Gesù è la luce che Dio ha acceso per noi. E che sia necessario essere raggiunti da questa luce sta nel fatto che tutti siamo mendicanti di luce. Basta una lacrima e con occhi bagnati non si vede più. Oppure, basta una malattia gravissima e non si riesce più a vedere felicemente il proprio futuro. Chi non vede deve appoggiarsi ad altri, alle pareti, ad un bastone, a un amico. Insomma, ci occorre qualcuno che ci soccorra. Sta qui il perché del Natale: ci occorreva un Salvatore, uno capace di trarci in salvo da tutto ciò che non fa il nostro bene.
Che è venuto a dirci questo Bambino? E’ venuto a dirci e a offrirci una verità preziosissima, che riguarda ciascuno di noi, la nostra provenienza e il nostro destino. E’ venuto a dirci che nessuno di noi è capitato sulla terra per caso. Al contrario, siamo tutti il frutto di un progetto d’amore. Gesù è venuto a dirci che io e tutti voi non siamo il semplice risultato di una notte d’amore, ma di Qualcuno che ci ha voluti e amati da sempre. Non siamo figli del caso, ma di un amore grande come una casa. Dal Natale in poi nessuno può più dire: ma che ci sto a fare io su questa terra? Qualcuno ha detto: Due sono i giorni più importanti: quello in cui siamo nati e quello in cui abbiamo capito il perché. E’ questo perché, che Gesù è venuto a dirci. E’ da tanti anni che si dibatte sull’origine dell’universo dal big bang, come pure dell’uomo che discende da forme preumane, ma io trovo questo dibattito ben poca cosa, rispetto alla cosa ben più rilevante, che è il sapere se la vita mia è casuale o voluta. Perché se alle mie spalle c’è la casualità, allora la casualità diventa la regola della mia vita e il caos presiede a ogni mia azione e scelta. Se invece siamo parte di un disegno, di un progetto d’amore e di Qualcuno che dall’eternità ci ha amati e voluti, allora tutto cambia. Insomma, non siamo figli capitati, ma figli voluti, attesi, desiderati, amati: ecco quanto è venuto a dirci quel Bimbo, nato a Betlemme. Questa preziosa verità può essere resa anche così: la vera opposizione non è tra vivere e morire e nemmeno tra vincere e perdere, ma tra vivere dimenticati e vivere accolti, tra vivere senza che a nessuno importi di noi e vivere accompagnati da Qualcuno che ha perso la testa per noi. Non siamo affidati al nulla, ma ad una sollecitudine: la sollecitudine di Chi (Gesù) vive esclusivamente per il nostro bene. ‘Stare con qualcuno’ o ‘stare con nessuno’: ecco la sfida di ogni esistenza. Diciamolo: stare con le persone a cui vuoi un sacco di bene e da cui ricevi un sacco bene è la prima guarigione della vita, la terapia-base di ogni esistenza.
Gesù, tu non immagini quanto siamo felici oggi. Oggi è il giorno in cui sei venuto a dirci chi davvero sei: un amico fedele, un compagno di viaggio, una luce ai nostri passi, una garanzia di vita. Aiutaci a non deluderti.
26 dicembre – Santo Stefano
Se ieri, giorno di Natale, abbiamo contemplato il Figlio di Dio nella culla di Betlemme, oggi il calendario liturgico ci mette innanzi un uomo, Stefano, che per il Figlio di Dio ha dato la vita. E mentre la prima lettura della Messa ci ha raccontato questo martirio, il Vangelo ci ha riportato le parole con cui Gesù preannuncia che a essere suoi discepoli, c’è da mettere in conto la fine che ha fatto Stefano. Il martirio è nel DNA del cristiano. Essere discepoli di Gesù è mettere in conto opposizioni, contrapposizioni, persecuzioni. Una frase chiave del Vangelo ascoltato, è questa: chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. E’ una frase che può essere resa anche così: dalla meta non togliere mai gli occhi. Non so se conosciate la storiella del cane e della lepre. Un cane, vedendo una lepre, comincia a rincorrerla, abbaiando forte. Altri cani, sentendolo abbaiare, si mettono pure loro a correre, abbaiando: sono in tanti, corrono forte e insieme. Però solo il primo cane ha visto la lepre, solo lui la segue con gli occhi. E cosa accade? Che a un certo punto, uno dopo l’altro, tutti quelli che non hanno visto la lepre e corrono solo perché uno l’ha vista, si stancano e rinunciano. Al contrario, il cane che aveva fissato gli occhi sulla lepre, arriva fino in fondo e l’acchiappa.
Questa storiella s’addice molto bene a Santo Stefano e ai martiri. Se son riusciti a sopportare ogni sofferenza per amore del Signore è perché, avendolo incontrato nella fede e non avendo mai distolto gli occhi da Lui, Dio li ha equipaggiati, rendendoli resistenti a qualsiasi urto della vita. Quando ho raccontato la storiella del cane e della lepre a dei ragazzi, uno ha obiettato: Don, quel cane la lepre la vedeva e la inseguiva, noi come facciamo a vedere Dio? Ho risposto così: non distogliendo mai gli occhi dagli innamorati di Gesù, dai suoi testimoni e da chi ha preso sul serio Dio. E’ questo un modo sicuro per non distogliere gli occhi da quella meta, che ha nome Dio.
“Santo Stefano, trasmetti a noi un briciolo della tua fede, del tuo coraggio,
della tua coerenza e della tua perseveranza.”