Omelia di Domenica 11 febbraio 2024 - VI Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
Nel Vangelo di questa domenica troviamo Gesù in compagnia di un uomo malato di lebbra. A quei tempi c’era una mentalità spietata: la lebbra era una malattia che escludeva, per questo era temutissima, come oggi è l’alzheimer, la depressione, il tumore. Nell’antichità il lebbroso era uno scomunicato, una sorta di cadavere ambulante. A certe malattie erano collegati incubi, paure, fantasmi. D’altronde, anche noi, oggi, sani al momento, viviamo nella paura che ci venga detto: Anche tu hai quel certo male! E ci rassereniamo solo se viene aggiunto: non preoccuparti, è benigno.
> Bene, Gesù con i malati gravi e segregati, cosa faceva? Ce lo ha appena detto il Vangelo a proposito di quel lebbroso: ne ebbe compassione - e pur se era proibito - tese la mano e lo accarezzò. Ora, proprio perché tanti malati vivevano segregati, distanziati da tutto e tutti, Gesù si opponeva con tutto sé stesso a questa cultura dello scarto e, alla faccia di quanto la legge prescriveva, li avvicinava. Noi non immaginiamo quanto fosse messa male, in questo ambito, la società dei tempi di Gesù. Come in tutta l’antichità, Gesù nacque in un mondo di malattie, spesso l’ambiente in cui viveva era lercio, maleodorante, insalubre. Di influenza, di un brutto raffreddore o di un ascesso a un dente si poteva morire. E se Gesù continuamente cercava i malati è perché conosceva bene l’esclusione e il malessere, fisico e morale, che pativano. Non a caso, buona parte dei suoi miracoli erano guarigioni.
> Faccio un esempio che ci sprona a seguire l’esempio di Gesù: la disabilità. Facciamo in modo che se un disabile è capace di fare anche una sola una piccola cosa, la possa fare .. in parrocchia, a casa, a scuola, al lavoro: in questo modo si sentirebbe utile. E’ poi così di tutti: è sentendoci utili che rimaniamo vivi e motivati. Vi faccio l’es. della disabilità perché è ancora dentro di me la toccante testimonianza dell’altra sera di Francesco Messori, campione nazionale del calcio-amputati. Nella primavera di tre anni fa andai a Reggio ad ascoltare una suora proprio su questi temi. Disse cose bellissime. Presi degli appunti, che ho conservato. Alcuni li voglio condividere con voi. Sentite alcune delle cose che disse...
Poniamoci l’obiettivo di arrivare a parlare non più in “noi e i malati”, ma “noi coi malati”, meglio ancora, “noi”. Superiamo quel linguaggio che fa ritenere noi i “non bisognosi” e loro “i bisognosi”. Tutti siamo bisognosi. Papa Francesco disse un giorno a un gruppo di catechisti: “Sogno una Chiesa in cui persone con disabilità siano catechisti.” (...) Perché nei nostri Consigli Pastorali siamo tutti bianchi e perfetti? Perché i Consigli Pastorali delle nostre parrocchie non comprendono nessuna persona di colore? Quanto “gli ultimi” fanno testo nella nostra vita parrocchiale? E pensare che i poveri sono il vero volto della Chiesa. A essere troppo selettivi non si è la Chiesa di Gesù. Non dobbiamo ridurci a essere la parrocchia dell’erogazione dei sacramenti, ma la parrocchia della prossimità.
Ecco, fu questo... quanto disse la suora quel giorno. Lascio a me e a voi queste parole forti, nella speranza che divengano in ciascuno, a partire da me, lievito di scelte più evangeliche.