Omelia di Domenica 21 aprile 2024 - IV Domenica di Pasqua, Anno B
Io sono il buon pastore: è la frase-ritornello del Vangelo di questa domenica, un Vangelo che solo dei pastori possono comprendere bene. Gli abitanti delle grandi città (Milano, New York, Tokio...) che solo per TV o in illustrazioni vedono pecore, greggi e pastori, non si rendono conto di com’è realmente la vita di un pastore, non sospettano minimamente il legame intimo che c’è tra pastore e pecore. Se passassimo alcuni mesi tra dei pastori, allora sì che potremmo capire meglio. Capiremmo ad esempio che il pastore non è solo la guida delle pecore, ma colui che condivide integralmente la vita delle pecore, la sete e il caldo, l’incubo degli animali feroci e dei razziatori, le notti gelide e i giorni afosissimi, i lunghi itinerari e le soste snervanti.
Comprendiamo allora perché Gesù si definì ‘buon pastore’: desiderava e desidera avere con noi un rapporto di grande intimità, esattamente com’è quello tra pecore e pastore. Nel mondo orientale è interessante vedere i beduini e i pastori che conducono al pascolo centinaia di pecore, le quali per noi sono un gregge, per loro no: ogni pecora ha il suo nome in base ad una loro caratteristica (Bianchina, Brunetta, Riccioluta…). M’ha colpito sentire un pastore che all’arrivo nel gregge di una nuova pecora, ha detto: questa pecora ha bisogno di un nome. Pensate, il suo primo pensiero è stato darle un nome, esattamente come due genitori, che in attesa della nascita del loro figlio dicono: che nome gli diamo? Insomma, il pastore ha un rapporto non con un gregge, ma con ciascuna pecora.
- Papa Francesco, che insieme ai ragazzi ho incontrato mercoledì, direbbe a me prete: Stai con le tue pecore al punto da portarti addosso l’odore delle pecore. Che è come dire: sei indifferente o ti prendi davvero cura di coloro che ti sono stati affidati? Ma anche a chi prete non è, Gesù dice: ognuno che incontri ti è come affidato. La differenza sta tutta qui: ti importa o non te ne importa? Dio, di me e di tutti non riesce fare a meno, gli manchiamo.
- Faccio notare una cosa. Il Vangelo di questa domenica mette in luce solo l’aspetto più bello dell’essere pastore. Non fa alcun cenno ad esempio al fatto che le pecore servivano e servono anche come nutrimento, l’agnello oggi è una portata in tanti ristoranti, le pecore sono anche un reddito, un gregge è anche un fattore di commercio (v. la lana che se ne ricava). Bene, a questo aspetto Gesù non fa riferimento alcuno. Perché? Ma perché a lui interessa la nostra persona, non quanto possiamo servirgli. L’altra notte in treno, di ritorno da Roma coi ragazzi, si parlava di amicizia. Uno ha detto una cosa bellissima: Vero amico è chi si ricorda di te anche quando non gli servi. Ecco, così è Gesù buon pastore!