Omelia di Domenica 26 gennaio 2025 - III Domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Nella terra di Gesù, in ogni località, c’era un luogo chiamato ‘sinagoga’ dove di sabato la gente si radunava per l’ascolto della Bibbia e la preghiera. Un sabato dell’anno 30, nella sinagoga di Nazareth, i presenti videro farsi spazio, diretto al pulpito, il figlio del falegname del villaggio, Gesù, il quale già da diverso tempo aveva lasciato casa sua.
Molti, nel rivederlo, dicevano: Ma guarda chi si vede? E’ Gesù! Avrà forse pensato di tornare a casa? Ciò che colpì del discorso che fece Gesù fu l’aver letto dal profeta Isaia un brano riguardante l’arrivo del Messia nel mondo, facendo intendere che quel Messia era lui. Disse: “Oggi s’è compiuta questa Scrittura che avete ora ascoltato.” Come a dire: ‘Il Messia tanto atteso è arrivato ed è qui davanti ai vostri occhi.’ “Mamma?!” pensarono tutti. Nacque un forte brusio nell’assemblea. Badate che quel mattino a Nazareth accadde una cosa scioccante: Gesù annunciò che era lui il Messia tanto atteso. Pensate, Gesù fece quel proclama nel suo paese Nazareth, dov’era cresciuto e conosciuto da tutti. Probabilmente tra i presenti si andò dalla gioia all’incredulità, dallo sconcerto alla commozione, dalla rabbia all’ammirazione. Qualcuno certamente avrà detto: Troppo bello: è tra le nostre fila colui che Dio ha scelto come messia nel mondo! Qualcun altro invece avrà detto: Ma chi ti credi di essere, sei un invasato! Ma sì, adesso dobbiamo credere che il Messia di Dio sei tu. Ma datti una regolata! Poi ci fu un’altra cosa: trattandosi di Nazareth, ci sarà stata anche Maria in sinagoga, la quale, vedendo il suo Gesù, avrà cercato di mettersi in prima fila per godersi da vicino il suo amato figlio. Essendo una mamma possiamo anche immaginare cosa gli disse all’orecchio: Gesù, che bello vederti! Come stai? Dai, fermati a dormire a casa sta sera, domattina ti metto in bisaccia un po’ di formaggio e di focaccia, e così ripartirai fresco e riposato. Lo avrà abbracciato, dicendogli: Non sei cambiato, sei sempre tu! Ecco, questi i fatti.
> Il pensiero che voglio lasciare alla vostra riflessione lo traggo da queste parole di Gesù: “Sono stato mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione e a rimettere in libertà gli oppressi.” Gesù, dicendo rimettere in libertà i prigionieri, alludeva soprattutto a chi era prigioniero dentro, a chi aveva incatenato il cuore. Quando insegnavo religione, ricordo lo sfogo di una ragazza: Questa scuola è una gabbia! Anche in un Campeggio, anni fa, ricordo che un ragazzo, per le troppe regole che avevamo messo, disse: questo campeggio è una prigionia! Ora, diciamocelo: chi di noi non s’è mai sentito in gabbia! Chi di noi non ha mai sentito certe sue relazioni o anche il suo lavoro come una gabbia! C’è chi dice: il mio lavoro è talmente totalizzante, che non ho più spazio per me! C’è poi chi è prigioniero del proprio rancore, chi del proprio carattere, chi della propria solitudine, chi di una relazione sentimentale da cui non sa uscirne. C’è chi si sente prigioniero della malattia che ha e da cui non riesce a guarire, ecc. Insomma, la vita è esperienza di libertà ma anche del suo opposto.
Diciamo così allora: Gesù, di questa Messa vogliamo custodire le tue parole “Sono stato mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione.” Ti chiediamo: “Togli dai nostri cuori quei legacci che ci tengono incatenati. Aiutaci a vivere sempre più nella libertà e sempre meno nella costrizione.”