Omelia di Domenica 23 marzo 2025 - III Domenica di Quaresima
Nel bel mezzo del Vangelo di questa domenica c’è un raccontino di Gesù: è chiamato ‘la parabola del fico sterile’. L’albero del fico faceva parte del paesaggio mediterraneo. Piantarlo era un augurio di pace, perché preludeva al poter sostare alla sua ombra negli anni a venire. La parabola mette in scena il Signore, rappresentato da un contadino paziente e fiducioso, che desidera avere la possibilità di lavorare attorno a una pianta di fico almeno un anno ancora, per portarlo a dare frutti. Era un fico che non ne voleva sapere di dare frutti. Ecco perché il contadino dice: datemi ancora un anno. Come a dire: se mi vien dato ancora un po' di tempo per lavorarci attorno, vedrete, qualche frutto spunterà.
Il messaggio è chiaro: Dio, come un contadino, si prende cura, come nessun altro, di quella pianta di fico, di quel campo seminato, di quel piccolo orto che è ciascuno di noi. E ci lavora, ci pota, fino a portarci a farci dare frutti buoni.
- E qui siamo a una delle parole-chiave della parabola: frutti. Dice: dammi il tempo di portare questo fico a dare i frutti.
Ebbene, come il fico, così è la nostra vita: deve arrivare a dare frutti.
- E perché a questi frutti si giunga, Gesù si offre di mettersi in società con noi. Ma concretamente, cosa vuol dire portare frutto? Vuol dire che siamo chiamati a lasciare il mondo un po' meglio di come lo abbiamo trovato. In fondo, il Vangelo di questa domenica viene a ricordarci che ciò che conta nella vita è dare frutti .. frutti di bene, opere buone. La Bibbia per bocca di S. Giacomo dice: la fede senza le opere è morta.
- Solo che, perché tutto questo avvenga occorre il tempo necessario. L’espressione almeno un anno allude al tempo necessario che occorre per far bene le cose. Cosa dire allora?
- Che questa domenica ci consegna due parole, attendere e pazientare, due verbi molto importanti. Perché? Perché niente di ciò che è bello, buono e grande cresce senza fatica e senza il tempo che ci vuole. Tutto ciò che è importante (l’educare, la fede, l’amore, l’amicizia) non può fare a meno di questi due verbi: attendere e pazientare. L’esperienza dice che le cose più belle sono anche le più lente a arrivare. Solitamente Dio ha pazienza, l’uomo ha fretta.
- Ma c’è di più: la pazienza non è solo un valore, è anche un tema educativo. Dico così perché sappiamo bene quanto i ragazzi non amino la calma e l’attesa. Un esempio: nell’amore e nella sessualità, quanti giovani vogliono tutto e subito ciò che invece richiede una più lunga e rispettosa pazienza. Educare è anche educare a rispettare i tempi, a far capire che le cose van fatte non quando lo decidi tu, ma quando è ora. La vita non è solo un già, è anche un non ancora.
Gesù, insegnaci la pazienza, convincici che vivere è anche saper aspettare. E perché questo avvenga, sta unito a noi. In fondo, se siamo a Messa è anche per questo.