Omelia Domenica 30 Settembre 2018 XXVI^ del T. O.
Il Vangelo di questa domenica si apre con un botta e risposta tra l’apostolo Giovanni e Gesù.
Era successo che un uomo, sconosciuto ai più, compiva riti di guarigione sulle persone nel nome di Cristo.
Ora secondo Giovanni non poteva farlo perché non era uno del gruppo dei discepoli. E quindi avvicinò quell’uomo e gli intimò di smettere. Gesù, saputa la cosa, reagì così: Non glielo impedire, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Anche la 1^ lettura ci ha riferito un episodio simile, qui anziché Gesù c’era Mosè. Cito il passo: Un giovane corse a dire a Mosè: ‘Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento.’ Giosuè, servitore di Mosè, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscilo!». Ma Mosè gli disse: ‘Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!’ Cosa dire di questi 2 episodi?
Che furono 2 gli errori di Giosuè e Giovanni, da cui anche noi dobbiamo guardarci.
> Il 1° fu l’aver agito per gelosia e invidia; non volevano che ci fosse alcuno che facesse ombra a Mosè e Gesù. Per loro, Mosè e Gesù non dovevano avere nessuno che ne offuscasse l’immagine e quindi non doveva esserci nessuna concorrenza. Poniamoci allora qualche domanda.
Quando una bella cosa viene fatta da una persona a noi cara o simpatica siamo contenti, ma se la stessa cosa buona viene fatta da chi ci è antipatico, ce ne rallegriamo ugualmente?
Se qualcuno ti è inviso e fa una cosa buona, lo elogi ugualmente?
Perché cerchiamo di essere felici noi e stoppiamo la felicità degli altri?
Riusciamo a mettere in pratica la Bibbia là dove, per bocca di S. Paolo, dice: ‘rallegratevi con quelli che sono nella gioia e piangete con quelli che sono nel pianto’.? (…)
Mi vien da dire: Benedetto colui che ha imparato ad ammirare, non ad invidiare. L’invidia è l’opposto dell’amore. (...) Quando siamo alle prese con invidie e rivalità, potessimo subito accorgerci che il vero problema siamo noi, non chi invidiamo.
> Ma c’è un 2° errore: l’apostolo Giovanni nel proibire a quell’uomo di fare quel che faceva, usa questa motivazione: perché non ci seguiva. Un modo per dire: non era dei nostri, non era del seguito di Gesù.
Ora, così dicendo, Giovanni dimenticava che Gesù mai disse che per seguire Lui bisognasse appartenere alla cerchia dei suoi più stretti collaboratori.
Per Gesù si poteva benissimo operare nel suo nome ed essergli graditi anche senza essere del gruppo degli apostoli.
Badate che tutti possiamo incorrere nell’errore di Giovanni.
Traduco in termini attuali la questione: essere di CL o dei Focolarini o dell’AC o dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, ecc… è seguire l’unico Gesù da appartenenze diverse.
L’apostolo Giovanni non capiva che se al vertice c’è Gesù, possono poi essere differenti i modi per seguirlo. Il rischio è che tu cristiano sia talmente convinto della tua sigla ecclesiale (parrocchia, movimento, associazione, congregazione,...) da credere che si è nel giusto solo se si appartiene ad essa.
Invece, non possiamo mai giudicare i cammini degli altri: una cosa è sentirsi sul giusto cammino, altra cosa è pensare che il tuo sia l’unico cammino.
L’errore in cui si può cadere è ritenere la propria esperienza ecclesiale, l’unica di valore.
Concludo allora lasciando in consegna un proposito: intraprendiamo tutti un serio cammino che faccia crescere l’umiltà e la stima reciproca tra le diverse appartenenze presenti nella nostra amata Chiesa.