XXII Domenica
Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate [...] lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». [...]
C’è poi un ultimo volto da non dimenticare, probabilmente il più indifeso: quello dei cristiani nascosti, da sempre in pericolo
«Stiamo vivendo giorni di grande apprensione. Pregate, pregate, pregate per l’Afghanistan». L’unica dichiarazione da Kabul, dove tuttora si trova, il barnabita Giovanni Scalese, responsabile della piccolissima comunità cattolica dell’Afghanistan, l’ha affidata ai microfoni di VaticanNews. Poche parole in una situazione delicatissima per una presenza che aveva il suo cuore nell’ambasciata italiana a Kabul oggi evacuata.
Omelia di Domenica 22 agosto 2021 - XXI Domenica del Tempo Ordinario, Anno B
Probabilmente ci è parsa dura la domanda di Gesù agli apostoli, sentita nel Vangelo: Volete andarvene anche voi? Perché Gesù parlò così? Cos’era successo? Era successo che il discorso di Gesù, ascoltato nei Vangeli le scorse domeniche non fu accolto bene da tutti. Ci fu chi disse: Questa parola è dura! Chi può intenderla? Da qui l’amara conclusione: Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Cerchiamo di capire bene cosa avvenne quel giorno. Parto da lontano. Il Vangelo predicato da Gesù conteneva e contiene insegnamenti, sì, belli ma anche esigenti. Vi faccio qualche esempio.
XXI Domenica
Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». [...]
Intervista a Francesca Manenti, a cura di Federica Zoja
Da “Avvenire” del 17 agosto 2021
«Voi avete l’orologio, noi il tempo, ammonivano i taleban negli anni ’90. Ed era vero. Hanno aspettato che gli americani e gli alleati si rendessero conto di non poter più restare e quando è scoccata l’ora del ritiro hanno riconquistato il Paese». Francesca Manenti è analista del Centro Studi Internazionali (CE.S.I.) esperta di Afghanistan.
Fino a che punto era prevista una rotta così fallimentare?
Era attesa e anche probabile, perché ormai sul campo i taleban dimostravano una superiorità operativa. L’incapacità delle forze afghane di reggere il colpo rappresentava una certezza per molti. Anche perché sono stati abbastanza abili da costruirsi una rete di intese locali in modo da arrivare alle porte dei maggiori centri urbani e godere di appoggi.
Omelia di Domenica 15 agosto 2021 - Solennità dell'Assunta, Anno B
Ogni sacerdote ha il suo modo di commentare il Vangelo. A me, ad esempio, piace soffermarmi sui particolari, perché sono convinto che il Vangelo sia tutto in ogni sua parte. E quindi anche questa mattina, la mia omelia prende le mosse da poche parole del Vangelo che abbiamo ascoltato. Eccole: Maria, entrata in casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Maria quel giorno entrò nella casa della parente Elisabetta, varcando la soglia di una casa a lei tanto cara. L’espressione varcare la soglia mi piace, perché è come se suggerisse anche a noi di invitare Maria a varcare la soglia della casa della nostra vita. E nell’accogliere Maria le dovremmo chiedere di donarci quella stessa luce e quella stessa grazia che introdusse in casa di Elisabetta.
L'arcivescovo, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana: la pandemia è stata una tragica sorpresa ma il lockdown è stato creativo per la vita ecclesiale.
Le basi evangeliche dell’ascolto, dell’incontro, della semplicità come motore per uscire migliorati dalla crisi. Il rischio che, dopo lo spirito di squadra iniziale, la voglia di riconquistare la normalità si traduca nella chiusura in se stessi, in un eccessivo ripiegamento nei propri particolarismi. Il dovere di ripartire dagli ultimi, da chi è stato lasciato ai margini, lontano dai riflettori. Monsignor Erio Castellucci guarda con grande attenzione ai dati emersi dalla ricerca dell’associazione 'Essere qui' sulla Chiesa italiana nell’anno della pandemia. L’emergenza Covid, osserva, è stata una tragica sorpresa per tutti ma la reazione della comunità ecclesiale per quanto complicata e difficile, c’è stata, ed è stata pronta. Sul fronte dell’impegno nel sociale si è tradotta, ad esempio, nei 200 milioni di euro stanziati nella primavera del 2020 per sostenere in modo capillare la ripresa. Sul terreno dell’annuncio, si tratta di non sprecare ciò che il periodo più duro della crisi ci ha insegnato. 'Innanzitutto la bellezza dell’incontro - spiega il vice presidente della Cei, arcivescovo di Modena- Nonantola e vescovo di Carpi -; forse mai, come in questo tempo di distanziamento fisico, i cristiani avvertono l’importanza del vedersi di persona, stare insieme 'a tutto tondo' e non solo attraverso uno schermo. Un tempo si usava chiedere 'quante anime conta la parrocchia'. Ora ci siamo resi conto, invece, di quanto contano i corpi e di come abbia ragione Paolo a definire la Chiesa 'corpo' di Cristo. Abbiamo sete di relazioni dirette. La pandemia ci ha poi insegnato molto altro: che nella comunità alcune cose sono essenziali e altre secondarie e quindi, ad esempio, si potrebbero snellire le riunioni organizzative per fare più spazio alla formazione; che esistono tante persone fragili, spesso rintanate nelle case, verso le quali occorrono un’attenzione e una ministerialità più intense; che Marta deve dipendere da Maria, cioè il servizio, per non essere affannato, deve innestarsi nell’ascolto del Signore e dei fratelli.
L’indagine parla di irrilevanza della Chiesa, per il 39% degli italiani e il 50% dei praticanti la Chiesa avrebbe accettato troppo acriticamente le decisioni del governo.
La Chiesa italiana, come tutti, è stata colta di sorpresa dalla pandemia; ma subito diocesi e parrocchie si sono date da fare con catechesi, contatti, celebrazioni, forme di assistenza spontanee e organizzate. Il periodo del lockdown è stato creativo per la vita ecclesiale. Conosco bene tuttavia le critiche, perché nella primavera dello scorso anno la mia casella e-mail, come quella di ogni vescovo, è stata invasa da proteste: devo dire però che vi è stato non solo chi ha rilevato un’acquiescenza acritica alle disposizioni governative, ma anche chi, con pari energia, ha contestato la dissonanza espressa dalla Cei rispetto alle esitazioni del governo. Secondo me si è svelata, più che una remissività della Chiesa italiana (poteva fare altro, se voleva assumere un atteggiamento responsabile?), una divisione forte, motivata più da appartenenze politiche differenti che da convinzioni di fede. E questo ci deve far riflettere: se ha maggior peso il partito rispetto alla comunità di fede, quale profondità ha raggiunto il Vangelo nell’animo dei cattolici?
Sotto il profilo della presenza nel sociale, che anno è stato? Non c’è il rischio che si finisca per considerare la Chiesa alla stregua di una Ong? Come evitare questo pericolo?
Meglio rischiare di essere scambiati per una Ong che tirare i remi in barca. E le nostre comunità hanno remato in genere con vigore. Il raddoppio straordinario della somma dell’8xmille, deciso dalla Cei, ha permesso a tutte le nostre diocesi di impiegare denaro ben prima del Recovery Fund - non solo per gli interventi di immediato soccorso, come alimenti, medicinali e bollette, ma anche per iniziative di tipo educativo e formativo, attraverso parrocchie, associazioni e istituzioni, in primis la Caritas. Mi stupisce, nelle indagini sociologiche, che il riconoscimento verso le associazioni di volontariato sia altissimo, mentre quello verso 'la Chiesa' sia piuttosto basso: segno che non si è colto - forse anche per colpa nostra che 'la Chiesa' in campo non era altra cosa rispetto alla Caritas e alle associazioni di ispirazione cristiana che erano state in prima linea.
Da più parti si segnala, e non solo in Italia, un calo della partecipazione. Da cosa partire per provare a invertire la rotta? L’associazione 'Essere qui' indica la necessità di 'uscire', cioè per così dire di cercare la Chiesa fuori dalla Chiesa.
Sì, a patto che non venga intesa come 'passeggiare' ma come 'pellegrinare'. Una Chiesa in uscita non rinuncia all’annuncio, alla liturgia e alla fraternità, ma cerca di portarli anche fuori della canonica; entra nelle case - il 'sacerdozio battesimale' lo si può valorizzare meglio anche dentro la 'Chiesa domestica' - e ascolta l’umano. Gesù è uscito di casa verso i 30 anni: prima che cos’ha fatto? Ha ascoltato l’umano, si è immerso nella vita quotidiana, ha vissuto le relazioni, ha lavorato. Anche per questo ha saputo, da adulto, intercettare con grande profondità il deposito del cuore umano. La Chiesa 'esce' davvero quando ascolta le domande prima di dare le risposte; o meglio, quando si lascia provocare dalle domande per cercare, insieme a chi domanda, le risposte nel Vangelo di Gesù.
Papa Francesco ha detto più volte che peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla. Secondo lei stiamo correndo questo pericolo?
Sì. Ci sono alcuni segnali che denotano un’eccessiva fretta di riprendere tutto come prima. E se già prima, come sappiamo, tante cose non funzionavano, volerle riproporre tali e quali dopo la pandemia significherebbe votarsi alla desertificazione pastorale. O abbiamo il coraggio di ripartire sulle basi evangeliche già accennate - ascolto, incontro, semplicità - oppure rischiamo di trascinarci una carovana ormai senza ruote.
Che Italia è quella che sta affrontando questa stagione così tragica? Più solidale, più attenta agli altri o più chiusa in se stessa e nei suoi particolarismi?
L’una e l’altra. Soprattutto all’inizio è emersa una grande generosità, uno 'spirito di squadra', che ha portato a gesti di dono, cura e perfino eroismo. I frutti dello Spirito si sono visti anche in tante persone che non frequentano le nostre comunità. Ma con la seconda e terza ondata non solo gli entusiasmi si sono raffreddati, ma si sono resi più evidenti anche i segnali di chiusura e di ripiegamento. C’è però una grande 'messe' da valorizzare, ad opera dei cristiani: la sofferenza vissuta da tutti, sotto forma di paura o di malattia, di lutto o di impoverimento. La Chiesa, per statuto del suo fondatore, deve ricominciare da chi è fuori dai riflettori ed è lasciato, ferito, al bordo della strada.
di Riccardo Maccioni per Avvenire
Solennità dell'Assunta
Anno B
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (...)