Omelia di Domenica 21 aprile 2024 - IV Domenica di Pasqua, Anno B
Io sono il buon pastore: è la frase-ritornello del Vangelo di questa domenica, un Vangelo che solo dei pastori possono comprendere bene. Gli abitanti delle grandi città (Milano, New York, Tokio...) che solo per TV o in illustrazioni vedono pecore, greggi e pastori, non si rendono conto di com’è realmente la vita di un pastore, non sospettano minimamente il legame intimo che c’è tra pastore e pecore. Se passassimo alcuni mesi tra dei pastori, allora sì che potremmo capire meglio. Capiremmo ad esempio che il pastore non è solo la guida delle pecore, ma colui che condivide integralmente la vita delle pecore, la sete e il caldo, l’incubo degli animali feroci e dei razziatori, le notti gelide e i giorni afosissimi, i lunghi itinerari e le soste snervanti.
Omelia di Domenica 14 aprile 2024 - III Domenica di Pasqua, Anno B
I due discepoli di Emmaus raccontarono come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Inizia così il Vangelo di questa domenica. Oggi non più, ma ai tempi della Bibbia, spezzare il pane era un’espressione tipica, era il modo con cui veniva definita la Messa. E infatti in ogni Messa avvengono due cose: appena prima della Comunione il sacerdote spezza l’ostia e, poco prima, riprende il gesto di Gesù dell’ultima cena dicendo prese il pane e lo spezzò. Quel pane spezzato era Lui, Gesù. Lui che non spezzò mai nessuno, spezzò sé stesso. Entriamo allora nel significato di quest’espressione: Gesù pane spezzato.
Omelia di Domenica 7 aprile 2024 - II Domenica di Pasqua, Anno B
Una cosa che può colpire del vangelo di questa domenica è il mostrare da parte di Gesù, appena risorto, le sue piaghe. Perché questa esibizione? Era così necessaria? Pensate: sul corpo di Gesù risorto non si cancellarono le ferite del venerdì santo, le piaghe restarono. Il perché credo che sia questo: le piaghe sul suo corpo erano la dimostrazione, la prova che Egli ci amò sul serio e non solo a parole. Mostrando il suo corpo che si manteneva piagato, Gesù voleva dire: Il perdurare nel mio corpo delle ferite alle mani e ai piedi è il segno che non finisce per me il tempo di amarvi. Il mio amore per voi continua. Dunque, quelle ferite rimaste erano il segno di un amore incancellabile. Vi faccio tre esempi di amore corporeo.
Giovedì Santo
La mia omelia prende le mosse dal fatto che Gesù passò l’ultima sera della sua vita terrena coi suoi amici. Lui stesso lo ricorderà durante la serata: Voi siete i miei amici. Mi son chiesto: che tipo di legame fu l’amicizia di Gesù coi suoi apostoli? Credetemi, vale la pena riflettere su questa cosa.
- Prima cosa: la sua fu un’amicizia non escludente, non elitaria, non selettiva. I suoi apostoli non erano per nulla la crème della Palestina. E quella sera, a tavola con Lui, c’erano proprio tutti. Cera Giuda il traditore, c’era Pietro che credeva di amarlo fino alla morte e che invece, poche ore dopo lo avrebbe rinnegato tre volte. Ora, se tutti noi questa sera ci proponiamo di accogliere l’amicizia che ci offre Gesù, pure noi diverremo amici di tutti quelli che Gesù considerava e considera suoi amici: dotati e meno dotati, i poveri, i poco amabili, chi ci ha fatto del male, chi la pensa all’opposto di noi.
Omelia di Domenica 10 marzo 2024 - IV Domenica di Quaresima, Anno B
Nel Vangelo di questa domenica c’è come una perla incastonata. Eccola: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Per un padre dare il proprio figlio è dare il meglio che ha, per un genitore non c’è niente che eguagli il valore di un figlio. La prova dell’amore smisurato di Dio sta nel fatto che ha regalato al mondo il meglio che aveva, di più non poteva dare: il suo unico figlio. Nella frase Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio sono centrali i due verbi amare e dare: ha tanto amato da dare...